mercoledì 30 dicembre 2015

L'ultimo racconto del 2015

Non sto pubblicando molti post perché sto scrivendo molti racconti. Uno di questi esce oggi su Grafemi, il sito dell'amico Paolo Zardi.
Leggetelo dunque, il link lo trovate qui.

mercoledì 9 dicembre 2015

Fioriture

Le sere sono illuminate dagli alberi di cachi, che hanno perso tutte le foglie e lasciano cadere ogni tanto qualche frutto maturo.

Metto il guinzaglio al cane. Tolgo gli occhiali anche se dovrei tenerli addosso proprio quando devo guardare lontano, ma in questi giorni c'è sempre la nebbia, le strade non avrebbero un profilo neanche da dietro le lenti.

Dicembre è arrivato anche quest'anno troppo presto. Ha levato i colori dai giardini e dalle guance di chi incontro a comprare qualche addobbo.

"Dobbiamo dirvi una cosa", ci dicono gli amici, sempre più spesso da quando siamo diventati adulti.
Indoviniamo se nei loro occhi ci sono bambini, matrimoni o contratti di lavoro, poi formiamo margherite coi calici pieni di vino.

Stiamo fiorendo anche se fuori fa ogni giorno più freddo.

venerdì 27 novembre 2015

Grammatica

Oggi inutile pubblica un racconto che ho scritto quest'estate, quando faceva un caldo boia. Potete leggerlo cliccando qui!

mercoledì 11 novembre 2015

La coerenza della gioventù

-Ci guardi, siamo un quadrio!
-Ho visto, ma si dice quartetto...
-E se si aggiunge lui è giusto cinquio? O si dice cinquetto?!?

[AIUTO]

sabato 31 ottobre 2015

Caramelle

Quando posso leggo raccolte di racconti, ormai lo sapete.
A tante persone leggere i racconti non piace, finiscono subito, dice Marco. Una raccolta di racconti secondo me è come un pacchetto di caramelle. Puoi decidere di succhiarne una e aspettare per le rimanenti, oppure puoi scegliere di scartarne una dopo l'altra, non si sa mai che ti sia sfuggito un gusto.
Io generalmente sono un'ingorda. Quando ho scoperto Carver ho comprato tutte le nuove edizioni, con Saunders è successo altrettanto.

Quando è uscita l'Età della febbre, mi sono fiondata in libreria: che meraviglia, ho pensato, una raccolta con un titolo bellissimo e la copertina gialla (il giallo è il mio colore preferito). In più avevo letto ottime recensioni: gli undici migliori autori italiani under 40 dipingono l'Italia degli anni Zero, pancia mia fatti capanna!
Sono rimasta a digiuno perché quei racconti in realtà erano piuttosto insipidi, cervellotici a tratti, non entravo in empatia. La carta insomma luccicava troppo rispetto al contenuto. Cominciavo con una storia, mi annoiavo, passavo alla seguente, mi innervosivo.

Quando una raccolta di racconti mi delude, generalmente mi delude più di quanto possa fare un cattivo romanzo.

Abbiamo le prove è la rivista on line di Violetta Bellocchio. La tengo d'occhio da un po' perché mi piacerebbe scriverci, ma sono una persona onesta che quando scrive mente spesso: su Abbiamo le prove si devono raccontare solo storie vere, così entro in conflitto con me stessa e non oso.
Comunque.
Per la Utet qualche mese fa è uscito Quello che hai amato, una raccolta con undici racconti scritti dalle donne della Bellocchio (alcune hanno un sacco di pubblicazioni, eh, non son mica pivelline).
L'ho comprata martedì, senza aspettative, l'altro ieri l'ho finita.
Mi è piaciuta tantissimo.
Le autrici sanno tutte il fatto loro e ciascuna per motivi diversi, è riuscita a tenermi incollata alle pagine, volendone ancora, ancora e ancora.
Il filo conduttore che lega i racconti è l'amore, che non ha mai la stessa forma, per nessuna: una città, una persona, un oggetto, un lavoro. Senza sensazionalismo, retorica e soprattutto senza narcisismo le scrittrici hanno saputo usare la prima persona includendo il lettore nella loro singolarità, che si apre e improvvisamente per diventare plurale e condivisibile.

Un raccolta di racconti in fondo è molto meglio di un pacchetto di caramelle, perché quando la rileggi puoi scoprire sapori nuovi.
In Quello che hai amato io ho sentito calore, compostezza e presenza, ma c'è tanto altro, fidatevi.

Quando ho una scatola di Tic-tac in borsa di solito chiedo a tutti se ne vogliano una, ecco allora: se siete arrivati fino a qui fate un passo in più e andate su Abbiamo le prove, troverete gli inizi dei racconti di cui vi sto parlando. Assaggiatene qualcuno, non si sa mai che abbiamo gli stessi gusti.

mercoledì 28 ottobre 2015

Polvere

C'è una donna che spazza la strada, ogni giorno.
Quest'estate vedevo il sudore colarle dai vestiti, portava canottiere larghe che non si preoccupava di sistemare quando le cadevano dalle spalle. Così le guardavo il collo e l'inizio di due seni flaccidi che sbattevano uno contro l'altro come gelatine arrabbiate. 

Non c'è niente da pulire sulla strada. Passa solo qualche auto, nessuno getta cartacce, ogni tanto qualche foglia si ferma vicino al marciapiede.

La donna spazza comunque, anche quando piove. Se tiene la scopa non ha abbastanza mani per stringere l'ombrello, così i capelli bagnati si incollano al viso e gli occhi si fanno ancora più sporgenti.

Chi la vede pensa sia una vecchia che col tempo ha perso la ragione.
Io credo che spazzare la strada sia solo un modo perbene per sentirsi meno soli.

lunedì 12 ottobre 2015

Scuola

Ci alziamo coi cacciatori che sparano alle nuvole rosa, il mattino inizia pigro, beviamo il caffè con la luce spenta, così gli occhi sbattono via il sonno un po' alla volta.
Sotto la felpa metto le mezze maniche, perché da quando insegno il mio deodorante fallisce in fretta abbandonandomi all'odore delle mie paure.
Torno a casa con le dita sporche di gesso, mi metto a studiare dopo i Simpson, come quando andavo al liceo.
Trascorro notti insonni sul divano a ripassare la grammatica, anche se non voglio. Mi lamento spesso e somiglio sempre di più a mia madre. 
Non è mica male, la vita.

giovedì 1 ottobre 2015

Squillino le trombe!

Questo mese esce questa antologia qui, si chiama L'amore ai tempi dell'apocalisse ed è curata dall'amico Paolo Zardi.
Tra gli scrittori ci sono anch'io, il mio racconto si intitola Amen.
Ordinatela tutti, ordunque!

giovedì 17 settembre 2015

Tagadà

Passeggio in un paesino dove sono arrivate le giostre.
Davanti a me camminano tre bambini con la pelle color cappuccino, tipi allegri con la cartella molto più grande di loro.
Davanti al tagadà si fermano: ci sono cinque ragazzoni coi capelli alla moda.
Signori giostrai, urla un bambino, sul tagadà ci possono salire quelli di sei anni?
No, gli risponde il giostraio, non facciamo mai salire i bambini immigrati.

giovedì 10 settembre 2015

Diario di bordo: Tfa, secondo ciclo, seconda parte

Il primo trimestre arrivano gli insegnanti di pedagogia che insegnano come insegnare a chi già insegna. Qualcuno li ascolta perché per il corso ha pagato quasi tremila euro, qualche altro non li ascolta per lo stesso motivo. Tutti ci annoiamo da morire.
La maggior parte dei docenti ci spiega che dobbiamo promuovere lo sviluppo di competenze negli alunni in ottica inclusiva, possibilmente adottando tecniche didattiche diversificate, al passo con i tempi reali e digitali, e lontane dalla barbosa didattica tradizionale, ormai superata. 
Tengo a precisare che la pappardella ci viene vomitata addosso attraverso splendide lezioni frontali monologate, che hanno una durata media che va dalle due alle quattro ore, se siamo fortunati con una pausa centrale di dieci minuti. 

Sospiriamo, io leggo i romanzi di nascosto. 

La prima cosa che impariamo quando parliamo di handicap è di non chiamarlo mai con il suo nome, ma di nasconderlo dietro il nome del ragazzo che lo porta, per rispetto, ci dicono. 
In classe ho un caso di autismo. SBAGLIATO. Sei matto? E' umiliante. Devi dire. In classe c'è Federico che è affetto da autismo.
Peccato che poi come compito per casa ci diano da scrivere uno studio di caso.

Una docente di didattica speciale ci tratta a priori come se avessimo picchiato un disabile. Ci ordina di alzare la mano se ci riteniamo persone normali. Pronuncia la parola normali come se fosse sinonimo di serial killer
Nessuno si muove, un po' per omologazione, un po' per farla tacere il prima possibile. 
Sostituiamo le parole tabù - cieco, zoppo, handicappato - con tecnicismi più anonimi - ipovedente, BES, DSA. Uno studioso americano che avevo inserito nella mia tesi si chiedeva provocatoriamente "l'invalido si alza dalla carrozzella se lo chiami ipocinetico?"
In Italia pare di sì.

Non vedo l'ora che arrivino gli insegnanti di lettere, dice qualcuno.
Il secondo trimestre arrivano. Didattica della letteratura, della storia, della geografia, educazione linguistica.
Sono tutti miei ex docenti universitari che dichiarano apertamente che loro a scuola non hanno mai insegnato e che odiano i pedagogisti. Sta volta nessuno ci insegna come insegnare, abbiamo l'onore di ascoltare degli pseudo corsi monografici, brutte copie di programmi che troviamo pari pari sul sito di unipd, già pensati per le lauree triennali.
Quella di letteratura ci racconta Il conte pecoraio, quello di storia le Annales, l'insegnante di educazione linguistica si ingarbuglia proponendoci modelli di grammatica valenziale che lei stessa fatica ad interpretare.

Sopportiamo facendo il conto alla rovescia, quanto manca alla fine? 
Impariamo a chi non vogliamo somigliare. Mai.

(continua..)


Ti sei perso la prima parte? Eccola!

giovedì 27 agosto 2015

Una fiaba

Dopo un paio di mesi di letture sfortunate, arriva lui. Justin Torres.

Chi mi conosce lo sa, uno dei libri al quale sono più affezionata è il Grande Quaderno, il primo della Trilogia della città di K. Pensavo di non trovare niente di simile e per un periodo mi pareva che nessuno scrivesse meglio della Kristof. E invece.

Noi, gli animali è un libro bellissimo, che in qualche modo mi ha ricordato terribilmente il Grande Quaderno. Sarà che si parla di bambini, sarà che quei bambini sono tutti fratelli. Di fatto Torres ha talento da vendere, racconta una famiglia senza spendere troppe parole per definirne i contorni: ha una lingua precisa, che accosta sempre gli elementi giusti trasformandoli in immagini fluide, che disegnano con armonia le simmetrie sbilenche presenti in tutto il libro.
Brooklyn si mischia alla natura come il padre nero fa con la madre bianca: senza mai riuscirci completamente.

Per chi ha voglia di leggere qualcosa di buono, Noi, gli animali è un gioiellino che ha la potenza delle fiabe, si ascolta fino alla fine, senza perdere il ritmo. Incanta e sorprende, lo consiglio a tutti quelli che hanno amato Agota, perché un po' la ritroveranno. 
Ritroveranno la poesia dell'infanzia crudele, la scrittura che incide e guarisce, la nostalgia per un tempo in cui giocavamo nei campi ed eravamo anche noi gli animali.

lunedì 24 agosto 2015

Cosa rimane

La Maremma mi si attorciglia ai capelli e li aggroviglia: all'inizio sono gli aghi di pino portati dal vento, poi è il sale impastato con l'aria di finestrino a renderli selvatici. La sera facciamo la doccia in una vecchia vasca da bagno, siamo in quattro e l'acqua deve bastare per tutti, io canto a squarciagola, la sabbia scivola dalla schiena e si infila tra le dita dei piedi.

C'è un cavallo che si chiama Cortese che la notte viene a pascolare sotto le nostre finestre, pensiamo siano i cinghiali, facciamo finta di avere paura, come quando da bambini credevamo che le ombre potessero uscire dai muri. 
Ricomincio a dormire facendo sogni che riesco a ricordare, la mattina a colazione li racconto a tutti e mi verso il caffè bollente sul braccio -vicino al polso ho ancora una bolla viola, a forma di cuore.

Dentro il cielo nuotano uccelli neri, le colline piene d'estate sono diventate deserto: noi ci infiliamo dentro a tutto quel giallo e ci togliamo dagli occhi le preoccupazioni che facevano sentire anche ai vicini le nostre voci. Percorriamo strade tortuose senza incontrare nessuno, lasciamo le vecchie abitudini e siamo solo presente.
Cosa rimane se tolgo tutto quello che non serve? 

Ho sempre voglia di scrivere. 

Dentro le vetrine gli oggetti invecchiano, sbiaditi dal sole. Io mi scurisco e sulla fronte compare una macchia a forma di America. Percorro le coste con il dito quando mi spalmo la crema a fine giornata.
Sotto le lenzuola leggo libri bellissimi.

domenica 2 agosto 2015

Cinque stelle

Per spegnere le sigarette usavano un braccio di bambino, il loro. Così il figlio è stato affidato a una nuova famiglia, che accoglie tutti quelli che sono nati nel posto sbagliato. Solo che Giovanni è stato posacenere per troppo tempo e i suoi genitori ha cominciato a vederli nei corridoi anche se loro l'avevano dimenticato subito, come succede coi soprammobili che non servono più a niente.

Scappa in continuazione Giovanni, passa da una stanza all'altra perché non riesce a legarsi più a nessuno. I giochi, le parole, gli altri ragazzini gli scivolano dagli occhi e colano per terra, a cosa serve la giovinezza  se non puoi essere felice?
Giovanni esplode di rabbia all'improvviso distrugge i mobili, spinge le persone, strappa i fogli su cui disegna biglietti aerei di sola andata per una città che si è inventato e alla quale pensa spesso.

Giovanni mi mostra il sito di una catena di alberghi super lusso che porta il suo cognome. Cinque stelle si nasce c'è scritto in apertura. Ormai il virtual tour lo conosce a memoria, mi fa vedere la piscina, la sala da pranzo con le sedie dorate, l'area relax e il cinema con le poltrone di pelle bianca. 
Ha lo sguardo fisso sullo schermo. Scarichiamo il listino prezzi e lo stampiamo, cerchiamo le foto del centro benessere, poi torniamo alla home e riappare la scritta.
Vedi, mi dice, cinque stelle si nasce, io invece sono solo un disabile. 
Non so cosa rispondergli, lui si alza e cambia stanza.

giovedì 23 luglio 2015

Diario di bordo: Tfa, secondo ciclo, prima parte

Siamo in cento e poco più. Iniziamo un pomeriggio di gennaio, in un'aula a gradoni. Qualcuno riconosce qualche vecchio compagno di università. Qualche fortunato è già seduto vicino a un paio di amici. Io sono in seconda fila, mi metto nel posto più esterno in modo da essere comoda se ho bisogno di uscire. Davanti a me c'è una ragazza seduta su una ciambella e con un bambino in braccio. Ha partorito da cinque giorni. Non è l'unica. I neo genitori non godono di alcun permesso. Hanno la frequenza obbligatoria come gli altri: si può saltare solo il trenta per cento di ogni lezione. Questo significa che se un insegnamento dura due ore si possono saltare al massimo 34 minuti. Ogni assenza va comunque giustificata e recuperata con lavori da fare a casa.
Dopo due settimane i bambini presenti al corso cominciano ad ammalarsi, uno finisce all'ospedale. 
Ci dicono di non preoccuparci, che tutto andrà bene. 
Due tutor ci prendono le firme all'entrata e all'uscita. Gli insegnanti ci invitano a fare le spie se vediamo qualcuno falsificarle, è una delle poche cose che porta all'esclusione immediata dal Tfa. Ci pregano di essere puntali nonostante si arrivi da lontano. Io mi sveglio alle sette vado al lavoro, pranzo all'una, all'una e mezza sono in autostrada, alle tre sono in aula e alle sette mi rimetto al volante per tornare a casa. Rientro col buio. Tutto sommato sono fortunata: qualcuno deve prendere il treno, qualche altro viene da Mantova, dal Friuli o dalla Toscana e si è dovuto trasferire a Padova. 
Io fino ad aprile riesco a tenere il mio lavoro. E' dura. Qualche volta piango. Soprattutto il sabato.
Ogni week-end abbiamo i laboratori. Interi pomeriggi passati a simulare progetti, analizzare documenti, elaborare rubriche di valutazione che verranno a loro volta valutate. In poco tempo inserisco la modalità scrittura automatica, dobbiamo redigere una quantità esorbitante di relazioni che nessuno leggerà mai, ma che saranno la testimonianza del nostro constante impegno. Per riuscire a consegnare tutto dobbiamo consumare la notte o programmare le sveglie almeno un'ora prima.
Chi lavora in ufficio lascia il posto, prende aspettativa o chiede il part time.
Io ho ventinove anni, a casa ho solo Marco, lo vedo poco e ci litigo spesso. Chi ha famiglia vede i figli solo nei ritagli di tempo. C'è chi a cinquant'anni è ancora precario, c'è chi vuole fare il professore perché il dottorato l'ha deluso, c'è chi ha accettato il calvario della scuola perché crede ancora che insegnare sia un mestiere bellissimo.
Siamo tutti ugualmente stanchi, non c'è pietà per nessuno. Cominciamo a scalare una montagna senza sapere quanto alta sia e se in vetta ci sia un rifugio.
Speriamo di non cadere.

(Continua...)


sabato 18 luglio 2015

Cin cin!

Questa settimana c'è solo da esser felici- Il Pesce compie 4 anni, io ne ho compiuti trenta e giovedì mi sono abilitata!
Domani si festeggia: fanculo il caldo, fanculo le zanzare, fanculo il tfa!
Sono libera!

lunedì 22 giugno 2015

Ultimi aggiornamenti

Lo prometto, a me stessa e a chi sono mancata: da venerdì torno a scrivere con regolarità anche qui. Questa è l'ultima settimana in salita, domani esami di letteratura e linguistica; giovedì fuochi d'artificio con storia e geografia. Incrociamo le dita.
Nel frattempo eccovi un piccolo racconto uscito oggi su Grafemi, sito letterario del buon Paolo Zardi. A presto!

sabato 23 maggio 2015

Il camaleonte

Dall'autostrada il cielo è grandissimo (sono stanca di andare in autostrada i camion sbandano spesso e quando l'asfalto è bagnato sollevano nuvole di pioggia che devo continuamente cancellare dal vetro).

Ho visto un uccello morire in volo, era sospeso nell'aria, è caduto all'improvviso schiantandosi al suolo.

In questi giorni la stanchezza si fa sentire -manca poco- ce lo ripetiamo a turno per farci coraggio, ma finite le lezioni abbiamo i lineamenti stravolti, sulla via del ritorno spengo la radio per riordinare i pensieri. 

Che cosa fai? mi domandano.

Penso a tutte le scrivanie sulle quali ho lavorato e a quanta fatica deve fare il camaleonte per cambiare colore. 
In questi mesi comincio a pensarmi "insegnante", mi piace essere chiamata prof, è una parola allegra che riesce a dare un senso al percorso di tutta una vita.
Il tg lo ascolto fino a quando non si parla di buona scuola. Gli aggettivi attribuiti a priori bisognerebbe metterli all'indice.

Ieri sul guardrail c'erano i corvi e sembrava novembre. Accelero per lo sprint finale senza sapere esattamente quando finirà la benzina.

venerdì 1 maggio 2015

Un suggerimento

Quando leggo un bel libro passo giorni interi a pensarci. E' successo con La tentazione di essere felici, di Lorenzo Marone. Mi è stato consigliato da una persona fidata e ora io lo consiglio a voi: romanzo con la scorza dura e il cuore colorato. Leggetelo tutti.

lunedì 27 aprile 2015

Paco

Il mio cane doveva morire, gli spariamo, avevano detto, poi una famiglia l'ha salvato.
La famiglia però ha due bambini piccolissimi, non possiamo tenerlo, ha detto la madre, cerchiamo qualcuno a cui regalarlo. Così il loro cane è diventato il mio cane.

Il mio cane si chiama Paco, ma io avrei voluto chiamarlo Bingo.
La mattina usciamo per la passeggiata quando il mondo è ancora stanco, a Paco piace l'erba alta si tuffa e ci nuota dentro, annusa ogni ciuffo, se fosse per lui per fare tre metri ci vorrebbe mezz'ora

Il mio cane mi ha insegnato che c'è sempre qualcosa da distruggere.
Quando non trova le scarpe di Marco prende i miei libri e rosicchia gli angoli. Sbriciola i quaderni e i fazzoletti sporchi, qualche volta strappa il pelo ai porcellini d'india e si vede che è soddisfatto anche se lo sgrido.

Il mio cane quando scrivo si trasforma in gatto: sale sulle ginocchia, solo che è troppo grande, si appoggia con le zampe sul tavolo a guardare il computer così io non riesco a scrivere un bel niente.
Più delle persone gli piacciono i lobi delle persone. Li lecca piano ed è come se volesse sussurrare qualcosa all'orecchio di ciascuno. 
Ridono tutti.

Il mio cane si arrabbia quando non capisce i rumori: il gel per capelli che esce dal tubetto, l'aspirapolvere, la chiave che gira nella toppa. 

Quando esco a buttare la spazzatura lui mi aspetta davanti alla porta per saltare in alto quando rientro e fare festa come se avessimo vinto i mondiali. 
Lo saluto mettendomi a ballare, ritornare da qualcuno dovrebbe essere sempre così facile.

lunedì 20 aprile 2015

E' qui la festa!

E' un uomo rotondo, che parla il dialetto veneto con le o troppo chiuse. Sei nato in Puglia? Gli chiedo. E' siciliano ma ha girato il mondo, mi risponde.
Ha trentatré anni, quando Marco lo scopre mi chiede se anche lui sembra così vecchio. Lo rassicuro.

Quando abbiamo scelto l'appartamento in cui abitare abbiamo valutato tre fattori: il numero dei bagni, i collegamenti con le città vicine, la quiete. Passano talmente poche macchine che dal salotto riusciamo a sentire il torrente scorrere, la mattina presto entrano in casa i muggiti delle vacche della stalla vicina. Quando proprio c'è confusione è perché due trattori si incrociano andando in direzioni opposte, mi pare giusto che un imprenditore di trent'anni, che a detta sua ha visitato tutti i continenti, scelga proprio il piano terra del nostro stabile per aprire un'enoteca.

Cerchiamo di prenderla bene. Beviamo un aperitivo per fare amicizia: gli è appena nata una nipote che si chiama Renesmee. Reni che??? Renesmee, non hai mai visto Twilight, mi domanda l'uomo con aria stupita.
Faccio una faccia disinvolta e sospiro.
Lui mi serve del pecorino.

Ci racconta che ha grandi progetti: togliere il melo dal giardino e costruire un'area pavimentata dove mettere i tavolini, magari ricavando uno spazio attrezzato dedicato ai cani. Mi chiedo che senso abbia, visto che stiamo in un posto in mezzo ai campi che per gli animali è meglio di un luna park.
In estate farà gli stessi orari del Billionaire, aggiunge.
Ora, vorrei ricordargli che Monte di Malo non è esattamente in Sardegna e che lui non si chiama Flavio Briatore. Marco si limita a sgranare gli occhi e a ordinare un altro giro.

Come previsto passa poca gente, sentiamo ancora il rumore del torrente e le mucche muggire. L'uomo aspetta i clienti dietro il bancone, è sempre sorridente, mi domando dove trovi l'ottimismo.
Sulla pagina facebook dell'enoteca ogni settimana compaiono le foto dei clienti, è qui la festa! c'è scritto sull'album, mi ricorda quelle ragazze brutte che nella foto del profilo sembrano bellissime.
Il parcheggio è sempre vuoto. Qualche sera gli facciamo compagnia, scendiamo in ciabatte e troviamo anche la vicina, lui porta un pezzo di salame e lo dà al nostro cane.

Ogni venerdì c'è il karaoke. Quando inizia Io vagabondo vado a dormire. Davanti c'è baratro e noi cantiamo sempre le stesse canzoni.

martedì 7 aprile 2015

Il dolore

Come ogni aprile che si rispetti prendo una bella influenza intestinale e mi terrorizzo. A consolarmi ci pensa mia madre. Mi dice le cose che allontanano i cattivi pensieri, che mi crollano addosso con un attacco di ipocondria che mi riporta alle scenette che facevo quando avevo la veneranda età di anni due.

Per la cronaca: finché scrivo sto sgranocchiando le gocciole, forse a chiamarla influenza intestinale ho un tantino esagerato. Ma ho letto un libro che mi ha scombussolata tutta, vuoi lo stress, vuoi il cambio di stagione, vuoi che Marco Peano ha aperto uno squarcio all'improvviso, faticoso da ricucire subito.

L'invenzione della madre è un romanzo che parla di cancro.
Non ricordo di aver mai letto niente di simile, perché in genere la morte nuda, raccontata senza finzioni si evita anche nei libri. 
Un figlio e un marito assistono l'unica donna di casa. Una metastasi la costringe a letto, perde coscienza a poco a poco, fino a spegnersi un giorno di gennaio. Mattia, il protagonista, è un ventiseienne come tanti, lavora in una videoteca, ha una ragazza a cui vuole bene ma che non ama, gli piace il cinema.
Si prende cura di sua madre ogni giorno, parla coi medici, cambia i pannoloni, somministra la morfina, fa tutto quello a cui il cancro costringe, il tumore di sua madre presto diventa la sua vita.

Peano ha una scrittura asciutta che racconta senza retorica il dramma quotidiano di chi si prepara a lasciare qualcuno per sempre. Lacerante e bellissimo il romanzo autobiografico è estremamente concreto: non si prova empatia perché si raccontano dei sentimenti, ma si provano sensazioni forti perché la minuzia della narrazione ricostruisce alla perfezione intorno al lettore il mondo di Mattia, la fatica e il dolore.

Cosa farei io se fossi al suo posto? Come affronterò la morte dei miei cari -nella mia famiglia di cancro sono morti praticamente tutti- come riuscirò a vivere la mia fine e la fine del mio mondo, salutando gli amici che se ne vanno?

Me lo sono chiesta spesso in questi giorni, e la mattina appena sveglia mi è mancato il respiro. L'invenzione della madre è un libro che dà vertigini. E' una lettura difficile, da affrontare un po' alla volta finché le cose vanno bene. E quando andranno male, pazienza.

lunedì 30 marzo 2015

Le cose

Iniziato il Tfa mi sono chiesta se raccontare ogni porcheria che ci capitava qui sul Pesce, ho deciso di non inquinare ulteriormente i pensieri, ogni giorno sempre un po' più grigi.
Vomiterò tutto alla fine, a luglio, non vedo l'ora di liberarmi lo stomaco.

Da gennaio la mia vita è programmata al millesimo di secondo. 
Lo odio. 
Casa, ufficio, autostrada, aula, autostrada, studio, letto.
Mi ritaglio spazi angusti per continuare a coltivare le cose in cui ho sempre creduto: Marco, gli amici, i libri, la scrittura. Di shopping terapeutico ne faccio sempre meno, qualche ombretto ogni tanto, i soldi mi servono per pagare l'affitto e la benzina, dicono che crescere sia soprattutto questo.

Ho voglia di vita semplice, di dormite fino a mezzogiorno, di sandali, di sudore, di appuntamenti presi senza guardare l'agenda.

Porta pazienza, mi dicono, passerà. E passerà, lo so anch'io che passerà. E' solo che il tempo sprecato non ritorna più e io non mi riesco ad abituare, perdere le cose e far finta di niente. 

giovedì 5 marzo 2015

Le rondini

Per andare alle poste salgo in cima al monte, ci sarà poca gente, mi dico. 
Il paese è inzaccherato di pioggia, sono senza ombrello i capelli fanno presto ad appiccicarsi sulla fronte.
Apro la porta sento subito odore di aria ferma, quella che ritrovo dentro i cassetti delle case di contrada, coi centrini fatti a mano sotto gondole di plastica viola.
Cinque vecchi sono seduti sulla panca, aspettano il loro turno, si conoscono tutti. Il ganzo del paese mi continua a fare l'occhiolino, mi ripete che devo avere pazienza, mi chiama bionda e gli tirerei volentieri un pugno. 
E' aperto solo uno sportello, l'impiegata è lenta e sola. Mi sistemo in un angolo, vicino alla colonna con i bollettini.
I vecchi si raccontano che il dottore è stato operato alla caviglia, è caduto finché camminava nel bosco, c'è una sostituta. Femmina e giovane. 
Sospirano.
Il ganzo quando esce mi saluta con la mano e mi dice di stare calma, io sono calmissima soprattutto ora che se ne sta andando.
Comincia a farmi male il ginocchio, dovrei stare seduta, me l'ha detto l'ortopedico, ma gli anziani uno vicino all'altro mi fanno tenerezza, mi ricordano le rondini che in autunno si scaldano sopra i cavi dell'alta tensione.
Passa un'ora, scarico lo smartphone.
Una signora si alza con fatica. Allo sportello consegna un libretto, voglio ritirare mille euro, dice.
A cosa le serviranno mille euro, fanno eco gli altri.
L'impiegata le consegna un modulo da riempire, l'anziana ci mette una vita, mi accorgo che la mano le continua a tremare e non smette, anche i vestiti sono pieni di scosse.
Solo quando ha finito l'impiegata cerca nel computer il numero del libretto, signora, le dice, qui la pensione l'ha versata fino a maggio, mi sa che ha portato il libretto sbagliato, in questo ha solo cinquecento euro. Deve tornare domani.
I vecchi si danno una gomitata senza guardarsi, con disinvoltura.
La signora si chiude la giacca e si mette un fazzoletto in testa. 
Traballa.
Poi si volta.
Cosa dite di andare tutti a farci visitare, dice prima di uscire, così vediamo se la dottoressa nuova è brava.
Si danno appuntamento davanti all'ambulatorio, venerdì alle quattro. 

Sono vecchi e bellissimi, tutti quanti.

lunedì 16 febbraio 2015

Prove di drammaturgia

Cala il sipario. 
Applausi.
Complimenti.
Strette di mano.
Arrivederci a tutti
E' mezzanotte, si mangia? Quando si mangia?
Ci sediamo attorno al tavolo dove prima si compravano i biglietti, qualcuno l'ha apparecchiato con una tovaglia scura e piatti di plastica. L'adrenalina si è sciolta, lo stomaco è rimasto vuoto.
Allora cosa si mangia? Quando si mangia?
A capotavola la proprietaria del teatro, poi ci siamo io, due critici, un attore, il mio regista e la mia attrice.
Ma come sei bella, ma come sei brava, dicono a Laura. Ma lo sai che hai un fascino, un carisma...ma come fai? E una memoria! Aggiunge qualcuno. 
La mia attrice brava lo è davvero, per fortuna è pure modesta, abbassa la testa e ringrazia, sorride ogni tanto, quel sorriso lungo che sa fare lei che le affila il volto trasformandola in volpe.
Arriva l'antipasto. Verdure crude. Voglio morire.
Cerco disperatamente un pinzimonio, in modo da raccattare qualche grasso insaturo con la mia carotina insipida.
Niente. Solo salute.
Le critiche non mollano. Ma che scuola hai fatto, ma come sei preparata, ma lo sai che ci hai emozionato, il vostro spettacolo è così fresco, così pulito, finalmente ci siamo detti, e tu Laura, come sei brava, come sei bella, come sei tutto.
Comincio ad annoiarmi, mi arriccio i capelli con le dita. 
Cambio di scena.
Prende la parola Isabella, la proprietaria del teatro. Intanto arriva il primo: couscous allo zafferano, sciapo pure quello.
Ma lo sapete che recito anche io? Come mi piace recitare! Ho avuto quel maestro di dizione, così burbero, ma così bravo! Ma come mi piace recitare, Sul palcoscenico sento delle emozioni...le senti anche tu? Però quella scuola, quella scuola mi stava togliendo tutto il piacere, lo dice anche Tiziocaio, lo conoscete vero, Tiziocazio? Che regista superbo, ha lavorato con quella, che ha fatto quello spettacolo nel duemilaecinque, quella, come si chiama, Tiziacaia, che è sorella di lui, il finocchio, quello con la faccia bella ma che non sa fare Shakespeare, che nel duemilaedieci è venuto anche a Torino! Come siamo state bene! Come mi piace recitare! Come amo tutti voi!
Io che bevo poco mi riempio il bicchiere di vino nero. Si parla solo a citazioni, non ci si racconta niente, ci si gonfia l'ego e basta e a quanto pare ceno con diverse mongolfiere.
Mi chiudo in un mutismo imbarazzato, forse pianto il muso, messaggio freneticamente con mio fratello, aiuto, gli scrivo.
Per dolce fragole e pesche. In dicembre. Hanno lo stesso sapore delle carote e del couscous.
E tu, Ilaria, tu che non ci racconti niente, parlaci del tuo talento. 
Divento viola.
L'occhio di bue mi acceca all'improvviso, tutti mi guardano, mi sudano le mani.
Loro continuano, lo sai, Ilaria, che sei la prima drammaturga che conosciamo ad avere un blog? Diccelo tu, perché una drammaturga deve scrivere in un blog? chiede Isabella. 
Un blog- ah, ah- che idea originale!
Silenzio assoluto, mi guardano tutti, vorrei alzarmi, salutare e mandare a fanculo la gentil platea dopo l'inchino.
Beh, rispondo, primo non mi definirei drammaturga, è una parola impegnativa. Secondo, io scrivo dappertutto e anche un blog può andare.
Ritorno muta, non ho citato nessuno, ci ho messo troppo poco, tutti si guardano perplessi e ho come la sensazione di far loro una terribilissima pena.
Accidenti.
Vento e palle di fieno.
La critica al mio fianco coglie l'attimo, allora adesso tocca a me a raccontare quello che faccio, bello!, lo sapete io vedo almeno quattro spettacoli alla settimana, mi sono detta, ok, sono brava, però devo darmi una calmata e considerare anche il cinema, perché insomma c'è anche quello, poi ci dicono che siamo lontani dalla vita reale, ma insomma, sì, scrivo per queste riviste, che sono molto prestigiose, le conoscete? Ci scrive anche Tiziocaio che ha scritto l'altra volta anche per quel giornale di quel produttore, amico dell'attore amico tuo, come si chiama, dai, quello bravo, marito della tipa che è venuta quella sera d'inverno a recitare e la neve rendeva tutto così minimal e sofisticato.
Bevo ancora.
E ancora
E ancora.
Si spengono le luci.
Cala il sipario. 
Applausi.
Complimenti.
Strette di mano.
Arrivederci a mai più.

venerdì 6 febbraio 2015

Noi

Il salottino è piccolo, vicino alla cucina. C'è soprattutto odore di pastasciutta, vagamente di lettiera. Il gatto l'ho fatto rinchiudere in camera, gattaccio, gli ho detto, gli piacciono i polpacci, si attacca con le unghie e li stringe, è nero e grosso: non sono mai riuscita a tenerlo in braccio e a sentire le fusa.

Sua madre è una donna piccola, mi ha visto poche volte, mi fa entrare nei suoi racconti come se ci fossi sempre stata. Mi parla della scuola e di quando era ragazza. Se fossi nata uomo mi sarebbe piaciuta subito. Fuma spesso, ti dà fastidio?, mi chiede, ha già aperto la finestra e fatto schioccare l'accendino.

Quando lui bestemmia lei non ci fa caso, quando vado in bagno guardo l'orologio e mi sorprendo, c'è un orologio in bagno, dico tutte le volte. 

Arriva presto il tempo di andare.

Gli dico, ciao, ti sposerei soltanto per avere lei come suocera.
Mi risponde, io non ti sposerei mai, però abbracciami.
Gli pesto il piede, prendo il treno.

sabato 24 gennaio 2015

Insegnantyx

A lezione la prof cita Erri De Luca, lo scrittore.
Dietro di me ascolto il seguente dialogo fra due compagni, già docenti:

Lui: Erri si scrive coll'acca iniziale?
Lei: No,ci va la y finale e pure la x. Erryx

Dio signore aiutaci.

sabato 17 gennaio 2015

Uccelli

Vicino all'ospedale c'è una casa che non vuole nessuno. I muri sono sporchi, la muffa ha coperto le tinte ed è salita fino al tetto, che è grigio perché le nuvole continuano a cadergli addosso.
Sul cancello c'è un'insegna, vendesi c'è scritto, il numero di telefono sta sbiadendo a poco a poco, è lì da chissà quanto.
Le finestre al primo piano non hanno vetri né persiane, così la casa si è riempita di uccelli: passeri, tortore e piccioni soprattutto. Sanno di essere lontani dai cacciatori, festeggiano il mattino cantando a squarciagola, così la casa sembra viva.

Ogni giorno sono circondata dai colleghi, dai compagni e dai doveri, insieme sono tantissimi e in mezzo a loro mi sento sola. Mi dicono che questo sia l'unico tempo giusto, perché adesso ci sono le forze e dopo passeranno. Fatico a stare sempre seduta e a tenere sul collo pensieri nati dietro la scrivania.

Vorrei che mia la testa fiorisse anche se fuori è ancora inverno, e che gli uccelli cantassero idee leggere fino a sera, quando arriva il tempo di addormentarsi e fare bei sogni.


giovedì 8 gennaio 2015

Roma

Aspettiamo la 63, direzione Tritone.
Arriva un uomo che si stringe in una giacca grigia. 
Guardalo, mi dice Marco. 
Lo guardo.
Ha un tatuaggio sulla fronte. C'è scritto TOOK in stampatello maiuscolo.
Si avvicina. Mi avvicino a Marco, che mi chiede se ho paura e aggiunge che gli sembra un tipo normale, tutto sommato. Gli rispondo che i tipi normali che frequento di solito non si scrivono parole in Arial Black sul viso.
Sull'autobus mi sento stretta, comincia a sudarmi un poco la fronte e la vescica sembra bruciare, ho voglia di scendere.
Che begli occhiali! dice una signora romana alla turista che le sta sta vicino.
Se vuole le posso dare l'indirizzo, dice l'altra. Costano solo centoventi euro, io non mi vedo proprio con gli occhiali, con questi però mi sento bene. L'ottico è in Via Dalmazia a Firenze, se e lo segni se vuole farsi un giro.
Dar Mazia? fa l'altra. Sgrano gli occhi e un uomo se ne accorge, mi è seduto di fronte, altre due fermate e mi chiederà da che parte del Veneto veniamo esattamente, ha le gambe lunghe e gli occhi gentili.
Parliamo della città e di Modigliani, dice che lo trova troppo austero e non lo fa innamorare. Meglio Memling, ci consiglia di andare a vedere la mostra, sorride con tutto il corpo. Mi dà del lei e non mi accorgo più della folla né della strada.
Mi racconta che sistema le traduzioni dei libri, sono laureato in psicolinguistica ma mi occupo di scrittura, mi dice.
Sono laureata in linguistica e mi occupo di scrittura, vorrei rispondergli. Ma mi sento le guance calde e mi prende la timidezza, così non gli dico niente.
Quando scendo mi pento subito, Marco se ne accorge e mi trascina dentro la strada che è un ruscello pieno di visi  e di borse finte Prada.
Il pomeriggio scurisce presto, gli ambulanti sparano in cielo dei proiettili luminosi che tornano a terra trasformandosi eliche fluorescenti.
Tolgo la sciarpa, non è troppo freddo. Roma è tantissima, la respiro tutta e mi sento bene.