venerdì 28 novembre 2014

Crescere

Visto che la mia linea adsl non funziona ed è un periodo pienissimo ripubblico un mio racconto apparso su Grafemi lo scorso anno, scritto per l'amico Paolo Zardi. Spero vi piaccia. A presto!

Crescere

Mi sono sentita disonesta come quando a dirmelo era stata mia madre, che aveva trovato le tasche della mia giacca riempite di Labelli rosa che lei non mi aveva comprato. La differenza tra prendere e rubare ce l'aveva scritta sul viso, sei diventata disonesta, mi aveva detto. Disonesta era una parola da adulti, prima di quella ero stata solo una bambina.

Mi sono scopata tuo marito.
Perché non si può dire che sia stato lui a slacciarmi il reggiseno, me lo sono tolta e basta, allungherà la mano.
L'ha allungata perché è marito da una vita.
Mi era capitato di guardarlo quando parcheggiava la macchina davanti alla fabbrica, avevo pensato che una Twingo bianca fosse un'auto da donna. Dietro, appiccicato al lunotto posteriore, c'era un adesivo fucsia, Teresa a bordo.
Teresa è vostra figlia. Lui la chiama luce dei miei occhi, perché è una bambina che gli somiglia, gli pare di conoscersi di più ogni volta che le parla. Lei gli tocca la barba perché alla sua età la barba la fa ridere. Per Teresa è divertente infilare le mani nelle tasche della sua giacca, il rumore delle forchette quando cadono, disegnare coi pennarelli la parte di muro sotto il tavolo in cucina.
Quando eri più giovane ti piaceva la prima volta che aprivi un ombrello nuovo sotto la pioggia, oggi l'importante è non rovinare la messa in piega.
Quando facevo le medie c'era in classe una Teresa che puzzava di piscio. Si sedeva coi maschi perché le femmine erano dispari, nessuna di noi la voleva avere come compagna di banco, figuriamoci come amica. Dopo la lezione di educazione fisica controllavamo se cambiasse la maglietta o se invece tenesse addosso quella sporca. Si lavava le ascelle senza mettersi il deodorante. Piegava la tuta e la chiudeva in un sacchetto di nylon. L'abbiamo lasciata sola, lei ha creduto di non meritarci, ha sempre pensato di essere la più stupida. Ha studiato più di tutti perché non aveva nient'altro.
Teresa fa la psicologa e si rivede in ogni suo paziente, si ritiene una sopravvissuta. Se avesse saputo che le sarebbe bastato lavarsi meglio, invece di uno studio pieno di traumi oggi avrebbe tre bambini vivaci, stipati in una camera coi letti a castello.
L'avevo trovata sulle Pagine Gialle, l'ho chiamata e ho provato a fissare un appuntamento.
Non voglio pazienti che conosco, mi ha risposto, se vuoi ti posso dare il numero di qualche mio collega. Mi ha domandato come stessi, come mi andassero le cose.
Le ho detto che andavano piuttosto bene, che mia madre mi mancava, avevo solo bisogno di parlare con qualcuno. Ha capito che sono una persona sola quando mi ha proposto di vederci per bere una birra. Ha addolcito la voce, nonostante fossi stata io a buttare il sacchetto con la tuta dentro il bidone dell'umido nello stanzino dei bidelli. Mi ha chiesto, sei sicura di non voler fare due parole? È stato allora che mi sono sentita peggiore. Così ho riattaccato.
Lo sai, tuo marito non ha mai guardato le altre donne, entrava salutando tutti con gli stessi occhi di quando si sorbisce la televisione la sera, senza voglia e senza forze. La fabbrica con gli anni ha trasformato i giorni in una catena di gesti sempre uguali, così il matrimonio. Tuo marito si era innamorato guardandoti sbucciare una mela, stavi seduta su una panchina in centro con un cane accovacciato ai piedi, mangiava le scorze. Sei stata amata senza condizioni per la prima volta, tua madre ti aveva cresciuta insegnandoti che una gentilezza si ricambia con la gentilezza, così ti sei sposata per riconoscenza.
La vostra bambina è convinta che siate sempre esistiti, uno per l'altra e invece non siete nemmeno parenti, compagni di cella, ti ritrovi a pensare.
Tuo marito ha aspettato che mi rivestissi, scopi come mia moglie, mi ha detto, non ho capito cosa intendesse davvero.
E adesso che mi guardi ancora con lo stesso viso di prima, quando la cameriera ti ha chiesto se preferissi un thè alla pesca o al limone e tu hai risposto fa lo stesso, penso che tu abbia una bocca obbediente che mi ha ricordato mia madre quando ha saputo che la metastasi le aveva consumato il fegato e ha ringraziato il dottore nonostante le avesse detto che non valesse la pena fare la chemio perché le sarebbero rimasti al massimo due mesi, forse tre.
La prima volta in cui mi sono sentita orfana è stato quando mi è venuta la febbre e sono dovuta andare in farmacia a comprarmi le medicine, sono guarita e nessuno è stato contento.
Mi aspettavo piangessi, mi sarei sentita meglio perché in qualche modo avrei cercato di consolarti, avrei avuto qualcuno per cui preoccuparmi. Invece hai alzato le spalle e hai piegato a metà una bustina di zucchero.
Teresa direbbe che state attraversando una crisi passeggera, cercherebbe di ridarti fiducia consigliandoti di riconsiderare la vostra storia adesso che avete la famiglia che avete sempre voluto. Sopravvivere alla sua adolescenza le fa credere che ogni persona abbia diritto a una vita migliore. Io invece vorrei solo prendermi un'aspirina e farmi la tinta più scura.
Te l'ho già detto, sorridi e mi ricordi mia madre, quando mi faceva credere che valesse la pena crescere ed essere come lei.

lunedì 10 novembre 2014

Milano

Dentro le pozzanghere di Milano ci sono suole sporche e condomini depressi. Tutti i viali fuori dal centro mi sembrano uguali, lunghi e anziani, ci vorrebbero un paio di giornate di sole a incendiare le foglie e invece la pioggia le abbatte incollandole sui tram e sui marciapiedi che percorro.

Ho paura.

Non ho abbastanza tempo per imparare a orientarmi, a Milano ci venivo per le gite in centro e per svuotare il portafogli a Pasquetta, ho creduto troppo presto di saperla capire e invece mi sono persa due volte e mi sono sentita tradita.

Prendo il novanta, mi siedo dietro a un paio di cinesi, andiamo verso il Naviglio Grande.

Leggo i muri, che passano veloci e mi raccontano le strade: la crisi c'è più della figa. Sale una donna con l'impermeabile che le arriva alle ginocchia. Chiede ad ogni fermata se qualcuno le vuole vendere un accendino, nessuno le risponde, lei ci guarda negli occhi e sbuffa. Poi ci domanda se siamo tutti salutisti o solo degli egoisti seduti vicini.

Ci guardo e di sicuro siamo tutti piuttosto brutti, coi capelli crespi e il viso sporco di metropolitana.

Penso che mi mancano i posti in cui sono cresciuta, i paesi con solo una chiesa e un paio di bar, la provincia.
Vedo delle biciclette appese sui balconi al quarto piano.
Prima dello spettacolo metto un maglione rosso, che mi protegga dal malumore e dalla sfortuna.

Va tutto come dovrebbe.

Quando entriamo in autostrada è mezzanotte e ho stretto tante mani di persone che mi dimenticheranno in fretta.
Vedo l'hotel delle cose e penso che una città in cui gli oggetti hanno bisogno di un albergo sia un posto che riuscirò ad amare soltanto quand'è passato.