lunedì 27 aprile 2015

Paco

Il mio cane doveva morire, gli spariamo, avevano detto, poi una famiglia l'ha salvato.
La famiglia però ha due bambini piccolissimi, non possiamo tenerlo, ha detto la madre, cerchiamo qualcuno a cui regalarlo. Così il loro cane è diventato il mio cane.

Il mio cane si chiama Paco, ma io avrei voluto chiamarlo Bingo.
La mattina usciamo per la passeggiata quando il mondo è ancora stanco, a Paco piace l'erba alta si tuffa e ci nuota dentro, annusa ogni ciuffo, se fosse per lui per fare tre metri ci vorrebbe mezz'ora

Il mio cane mi ha insegnato che c'è sempre qualcosa da distruggere.
Quando non trova le scarpe di Marco prende i miei libri e rosicchia gli angoli. Sbriciola i quaderni e i fazzoletti sporchi, qualche volta strappa il pelo ai porcellini d'india e si vede che è soddisfatto anche se lo sgrido.

Il mio cane quando scrivo si trasforma in gatto: sale sulle ginocchia, solo che è troppo grande, si appoggia con le zampe sul tavolo a guardare il computer così io non riesco a scrivere un bel niente.
Più delle persone gli piacciono i lobi delle persone. Li lecca piano ed è come se volesse sussurrare qualcosa all'orecchio di ciascuno. 
Ridono tutti.

Il mio cane si arrabbia quando non capisce i rumori: il gel per capelli che esce dal tubetto, l'aspirapolvere, la chiave che gira nella toppa. 

Quando esco a buttare la spazzatura lui mi aspetta davanti alla porta per saltare in alto quando rientro e fare festa come se avessimo vinto i mondiali. 
Lo saluto mettendomi a ballare, ritornare da qualcuno dovrebbe essere sempre così facile.

lunedì 20 aprile 2015

E' qui la festa!

E' un uomo rotondo, che parla il dialetto veneto con le o troppo chiuse. Sei nato in Puglia? Gli chiedo. E' siciliano ma ha girato il mondo, mi risponde.
Ha trentatré anni, quando Marco lo scopre mi chiede se anche lui sembra così vecchio. Lo rassicuro.

Quando abbiamo scelto l'appartamento in cui abitare abbiamo valutato tre fattori: il numero dei bagni, i collegamenti con le città vicine, la quiete. Passano talmente poche macchine che dal salotto riusciamo a sentire il torrente scorrere, la mattina presto entrano in casa i muggiti delle vacche della stalla vicina. Quando proprio c'è confusione è perché due trattori si incrociano andando in direzioni opposte, mi pare giusto che un imprenditore di trent'anni, che a detta sua ha visitato tutti i continenti, scelga proprio il piano terra del nostro stabile per aprire un'enoteca.

Cerchiamo di prenderla bene. Beviamo un aperitivo per fare amicizia: gli è appena nata una nipote che si chiama Renesmee. Reni che??? Renesmee, non hai mai visto Twilight, mi domanda l'uomo con aria stupita.
Faccio una faccia disinvolta e sospiro.
Lui mi serve del pecorino.

Ci racconta che ha grandi progetti: togliere il melo dal giardino e costruire un'area pavimentata dove mettere i tavolini, magari ricavando uno spazio attrezzato dedicato ai cani. Mi chiedo che senso abbia, visto che stiamo in un posto in mezzo ai campi che per gli animali è meglio di un luna park.
In estate farà gli stessi orari del Billionaire, aggiunge.
Ora, vorrei ricordargli che Monte di Malo non è esattamente in Sardegna e che lui non si chiama Flavio Briatore. Marco si limita a sgranare gli occhi e a ordinare un altro giro.

Come previsto passa poca gente, sentiamo ancora il rumore del torrente e le mucche muggire. L'uomo aspetta i clienti dietro il bancone, è sempre sorridente, mi domando dove trovi l'ottimismo.
Sulla pagina facebook dell'enoteca ogni settimana compaiono le foto dei clienti, è qui la festa! c'è scritto sull'album, mi ricorda quelle ragazze brutte che nella foto del profilo sembrano bellissime.
Il parcheggio è sempre vuoto. Qualche sera gli facciamo compagnia, scendiamo in ciabatte e troviamo anche la vicina, lui porta un pezzo di salame e lo dà al nostro cane.

Ogni venerdì c'è il karaoke. Quando inizia Io vagabondo vado a dormire. Davanti c'è baratro e noi cantiamo sempre le stesse canzoni.

martedì 7 aprile 2015

Il dolore

Come ogni aprile che si rispetti prendo una bella influenza intestinale e mi terrorizzo. A consolarmi ci pensa mia madre. Mi dice le cose che allontanano i cattivi pensieri, che mi crollano addosso con un attacco di ipocondria che mi riporta alle scenette che facevo quando avevo la veneranda età di anni due.

Per la cronaca: finché scrivo sto sgranocchiando le gocciole, forse a chiamarla influenza intestinale ho un tantino esagerato. Ma ho letto un libro che mi ha scombussolata tutta, vuoi lo stress, vuoi il cambio di stagione, vuoi che Marco Peano ha aperto uno squarcio all'improvviso, faticoso da ricucire subito.

L'invenzione della madre è un romanzo che parla di cancro.
Non ricordo di aver mai letto niente di simile, perché in genere la morte nuda, raccontata senza finzioni si evita anche nei libri. 
Un figlio e un marito assistono l'unica donna di casa. Una metastasi la costringe a letto, perde coscienza a poco a poco, fino a spegnersi un giorno di gennaio. Mattia, il protagonista, è un ventiseienne come tanti, lavora in una videoteca, ha una ragazza a cui vuole bene ma che non ama, gli piace il cinema.
Si prende cura di sua madre ogni giorno, parla coi medici, cambia i pannoloni, somministra la morfina, fa tutto quello a cui il cancro costringe, il tumore di sua madre presto diventa la sua vita.

Peano ha una scrittura asciutta che racconta senza retorica il dramma quotidiano di chi si prepara a lasciare qualcuno per sempre. Lacerante e bellissimo il romanzo autobiografico è estremamente concreto: non si prova empatia perché si raccontano dei sentimenti, ma si provano sensazioni forti perché la minuzia della narrazione ricostruisce alla perfezione intorno al lettore il mondo di Mattia, la fatica e il dolore.

Cosa farei io se fossi al suo posto? Come affronterò la morte dei miei cari -nella mia famiglia di cancro sono morti praticamente tutti- come riuscirò a vivere la mia fine e la fine del mio mondo, salutando gli amici che se ne vanno?

Me lo sono chiesta spesso in questi giorni, e la mattina appena sveglia mi è mancato il respiro. L'invenzione della madre è un libro che dà vertigini. E' una lettura difficile, da affrontare un po' alla volta finché le cose vanno bene. E quando andranno male, pazienza.