lunedì 16 febbraio 2015

Prove di drammaturgia

Cala il sipario. 
Applausi.
Complimenti.
Strette di mano.
Arrivederci a tutti
E' mezzanotte, si mangia? Quando si mangia?
Ci sediamo attorno al tavolo dove prima si compravano i biglietti, qualcuno l'ha apparecchiato con una tovaglia scura e piatti di plastica. L'adrenalina si è sciolta, lo stomaco è rimasto vuoto.
Allora cosa si mangia? Quando si mangia?
A capotavola la proprietaria del teatro, poi ci siamo io, due critici, un attore, il mio regista e la mia attrice.
Ma come sei bella, ma come sei brava, dicono a Laura. Ma lo sai che hai un fascino, un carisma...ma come fai? E una memoria! Aggiunge qualcuno. 
La mia attrice brava lo è davvero, per fortuna è pure modesta, abbassa la testa e ringrazia, sorride ogni tanto, quel sorriso lungo che sa fare lei che le affila il volto trasformandola in volpe.
Arriva l'antipasto. Verdure crude. Voglio morire.
Cerco disperatamente un pinzimonio, in modo da raccattare qualche grasso insaturo con la mia carotina insipida.
Niente. Solo salute.
Le critiche non mollano. Ma che scuola hai fatto, ma come sei preparata, ma lo sai che ci hai emozionato, il vostro spettacolo è così fresco, così pulito, finalmente ci siamo detti, e tu Laura, come sei brava, come sei bella, come sei tutto.
Comincio ad annoiarmi, mi arriccio i capelli con le dita. 
Cambio di scena.
Prende la parola Isabella, la proprietaria del teatro. Intanto arriva il primo: couscous allo zafferano, sciapo pure quello.
Ma lo sapete che recito anche io? Come mi piace recitare! Ho avuto quel maestro di dizione, così burbero, ma così bravo! Ma come mi piace recitare, Sul palcoscenico sento delle emozioni...le senti anche tu? Però quella scuola, quella scuola mi stava togliendo tutto il piacere, lo dice anche Tiziocaio, lo conoscete vero, Tiziocazio? Che regista superbo, ha lavorato con quella, che ha fatto quello spettacolo nel duemilaecinque, quella, come si chiama, Tiziacaia, che è sorella di lui, il finocchio, quello con la faccia bella ma che non sa fare Shakespeare, che nel duemilaedieci è venuto anche a Torino! Come siamo state bene! Come mi piace recitare! Come amo tutti voi!
Io che bevo poco mi riempio il bicchiere di vino nero. Si parla solo a citazioni, non ci si racconta niente, ci si gonfia l'ego e basta e a quanto pare ceno con diverse mongolfiere.
Mi chiudo in un mutismo imbarazzato, forse pianto il muso, messaggio freneticamente con mio fratello, aiuto, gli scrivo.
Per dolce fragole e pesche. In dicembre. Hanno lo stesso sapore delle carote e del couscous.
E tu, Ilaria, tu che non ci racconti niente, parlaci del tuo talento. 
Divento viola.
L'occhio di bue mi acceca all'improvviso, tutti mi guardano, mi sudano le mani.
Loro continuano, lo sai, Ilaria, che sei la prima drammaturga che conosciamo ad avere un blog? Diccelo tu, perché una drammaturga deve scrivere in un blog? chiede Isabella. 
Un blog- ah, ah- che idea originale!
Silenzio assoluto, mi guardano tutti, vorrei alzarmi, salutare e mandare a fanculo la gentil platea dopo l'inchino.
Beh, rispondo, primo non mi definirei drammaturga, è una parola impegnativa. Secondo, io scrivo dappertutto e anche un blog può andare.
Ritorno muta, non ho citato nessuno, ci ho messo troppo poco, tutti si guardano perplessi e ho come la sensazione di far loro una terribilissima pena.
Accidenti.
Vento e palle di fieno.
La critica al mio fianco coglie l'attimo, allora adesso tocca a me a raccontare quello che faccio, bello!, lo sapete io vedo almeno quattro spettacoli alla settimana, mi sono detta, ok, sono brava, però devo darmi una calmata e considerare anche il cinema, perché insomma c'è anche quello, poi ci dicono che siamo lontani dalla vita reale, ma insomma, sì, scrivo per queste riviste, che sono molto prestigiose, le conoscete? Ci scrive anche Tiziocaio che ha scritto l'altra volta anche per quel giornale di quel produttore, amico dell'attore amico tuo, come si chiama, dai, quello bravo, marito della tipa che è venuta quella sera d'inverno a recitare e la neve rendeva tutto così minimal e sofisticato.
Bevo ancora.
E ancora
E ancora.
Si spengono le luci.
Cala il sipario. 
Applausi.
Complimenti.
Strette di mano.
Arrivederci a mai più.

venerdì 6 febbraio 2015

Noi

Il salottino è piccolo, vicino alla cucina. C'è soprattutto odore di pastasciutta, vagamente di lettiera. Il gatto l'ho fatto rinchiudere in camera, gattaccio, gli ho detto, gli piacciono i polpacci, si attacca con le unghie e li stringe, è nero e grosso: non sono mai riuscita a tenerlo in braccio e a sentire le fusa.

Sua madre è una donna piccola, mi ha visto poche volte, mi fa entrare nei suoi racconti come se ci fossi sempre stata. Mi parla della scuola e di quando era ragazza. Se fossi nata uomo mi sarebbe piaciuta subito. Fuma spesso, ti dà fastidio?, mi chiede, ha già aperto la finestra e fatto schioccare l'accendino.

Quando lui bestemmia lei non ci fa caso, quando vado in bagno guardo l'orologio e mi sorprendo, c'è un orologio in bagno, dico tutte le volte. 

Arriva presto il tempo di andare.

Gli dico, ciao, ti sposerei soltanto per avere lei come suocera.
Mi risponde, io non ti sposerei mai, però abbracciami.
Gli pesto il piede, prendo il treno.