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sabato 17 gennaio 2015

Uccelli

Vicino all'ospedale c'è una casa che non vuole nessuno. I muri sono sporchi, la muffa ha coperto le tinte ed è salita fino al tetto, che è grigio perché le nuvole continuano a cadergli addosso.
Sul cancello c'è un'insegna, vendesi c'è scritto, il numero di telefono sta sbiadendo a poco a poco, è lì da chissà quanto.
Le finestre al primo piano non hanno vetri né persiane, così la casa si è riempita di uccelli: passeri, tortore e piccioni soprattutto. Sanno di essere lontani dai cacciatori, festeggiano il mattino cantando a squarciagola, così la casa sembra viva.

Ogni giorno sono circondata dai colleghi, dai compagni e dai doveri, insieme sono tantissimi e in mezzo a loro mi sento sola. Mi dicono che questo sia l'unico tempo giusto, perché adesso ci sono le forze e dopo passeranno. Fatico a stare sempre seduta e a tenere sul collo pensieri nati dietro la scrivania.

Vorrei che mia la testa fiorisse anche se fuori è ancora inverno, e che gli uccelli cantassero idee leggere fino a sera, quando arriva il tempo di addormentarsi e fare bei sogni.


martedì 1 luglio 2014

La biscia

Se dio vuole il peggio è passato.
Sono state giornate impegnative in cui mi sono dovuta scontrare con i poteri forti, per la prima volta nella mia vita. 
La censura e le informazioni da storpiare ogni mattina rendevano pesantissimo il pranzo al lavoro, fatto quasi sempre con lo stomaco pieno di pietre. 
Non potrò più credere neanche a Mentana.
Di sera ho dovuto scrivere, tanto. Credo sia pure uscito qualcosa di buono. 
Ho bisogno di una cioccolata calda, questo luglio mi sa troppo di ottobre e pozzanghere. 
Ho bisogno di scrivere per me, ma a trovare le storie ci vuole tempo. Per fortuna ci sono pensieri, con quelli arrivo fino alle nuvole, che oggi sono ammucchiate addosso ai monti quasi fosse venuto qualcuno a rastrellarle.
Una casa sulla collina ci aspetta.
La vita sta cambiando, io vortico nell'acqua e faccio la muta.

lunedì 2 giugno 2014

L'eccezione

Il colore delle pareti è simile al colore dei fogli, che è simile al colore delle scrivanie, che è simile al colore dei visi alle otto e trenta: bianco pozzanghera, gli ottimisti lo cancellano col fondotinta o con i week end al mare, ricompare ostinato ogni lunedì mattina.
Percorro un parco pieno di pini e mi piacerebbe essere un merlo, o la pigna sul ramo più alto per guardare la gente dall'alto e godermi il sole, o uno di quei temporali che in questi giorni sconvolgono il cielo.
E invece no.
Arrivo con gli occhiali da sole e il cuore in gabbia.

Perché vuoi continuare a scrivere? Mi ha chiesto mia madre. Nella vita dovresti imparare ad accontentarti.

Salgo in ufficio dando le spalle alla finestra. Il computer ha la stessa faccia di sempre, se fosse un marito mi sarei trovata un amante. Verso le undici ho bisogno di un caffè per continuare a sopportarlo, scendo le scale e attraverso il giardino.

C'è una donna che sta aspettando la sua cioccolata, ha la schiena curva e la testa incassata dentro il tronco. Le mani le tremano leggermente, tiene le dita distese. Mi ricorda quei fantasmi che infestavano i castelli quando leggevo le fiabe, se ne va camminando leggera, quasi sospesa.

Qualcuno urla il mio nome all'improvviso.

Seduti vicino alla siepe due uomini mi fanno cenno di raggiungerli.
Oscar mi aveva detto che lui i nomi delle persone li dimentica subito, invece gli piace solo essere bugiardo.

Anche se sei laureata abbiamo deciso di darti del tu, mi informa, e gli dico che non c'è problema, mi ritorna il buonumore.

Il suo compare ha la parte destra del corpo paralizzata, mi sorride con la sinistra.
Mi chiede di scendere a fumare un po' più spesso, io gli spiego che non fumo.
Neanche io, mi risponde. Ma è bello fare finta e prendere una boccata d'aria fresca.

La sua faccia sbilenca è simile ai disegni dei bambini senza contorni, alle biciclette che cigolano, agli errori di ortografia. Mi ricorda quando credevo che tutte le parole belle avessero una doppia: mamma, giallo, latte, gatto.

Non avrò mai una moglie, mi dice, ma sai a nascere eccezione la vita non è così male.

Farfuglia e incespica un poco. Me ne vado salutandolo con la mano, pensando che eccezione andrebbe scritta con due zeta, come tutte le cose belle che mi fanno sentire viva.

venerdì 11 maggio 2012

Palle e bazuka

Primo giorno. 82 chilometri. 12 ore sprecate. Ambientazione.
Gli uomini in scatola non possono parlare, scrivono al computer, vanno in bagno solo se sta per scappare. 
Posso guardare le mail in pausa pranzo? Non si potrebbe. Sappi che tutti i computer sono controllati periodicamente. Anche il tuo.

Secondo giorno. 164 chilometri. Sconforto.
Suona la sveglia e bestemmio prima ancora di scendere dal letto.
Scusa, ma per questa settimana ti diamo da archiviare fascicoli. Porta pazienza. Penso a Kafka, forse dovrei dargli un'altra chance.
A pranzo decido di uscire. Intorno c'è solo asfalto. Penso che potrei suicidarmi, ma poi mi viene in mente il telegiornale e chi si è suicidato per davvero, perché un lavoro non ce l'ha. Mi vergogno e colo verso il fondo. In autostrada comincio a piangere, mi trasformo in un diluvio, e non riesco a smettere.
Mia madre non mi consola, sa che  tutte le tragedie hanno una fine.
Comincio a elaborare vie di fuga.
Tira fuori le palle, mi dice. Decido di tirarle fuori. Palle e bazuka.

Non piangevo per la fatica, facevo il funerale al tempo sprecato, ché quando muore lo seppellisci per sempre.

Terzo giorno. 282 chilometri. Aiutati che il ciel t'aiuta.
Se non gira si fa girare. Comincio a fare amicizia, gli uomini in scatola sono come tutti gli altri, solo più efficienti e funzionali, uno stipendio indeterminato in cambio di euro determinati, trenta milioni in un anno. A fine mese ti convertiamo in numero, se non hai prodotto abbastanza sei scartato.
La statistica appiattisce le variabili umane.

Quarto giorno. 328 chilometri. Ilaria's back.
Per farmela passare comincio a immaginarmi come potrei offendere, nel peggiore dei modi, ciascuno dei miei colleghi, nel caso ci fosse una rissa, non si sa mai. Penso anche a come potrei distruggere tutti i documenti, nel modo più veloce possibile. Fuoco ed estintore.
Mi sono ripresa.
Tengo stretti in mente Marco, i libri, l'Eri e tutte le parole che sento scorrermi nel sangue e che non ho potuto fissare da qualche parte.

Quando diventerò presidente Confindustria vi salverò, ci salveremo, tutti quanti.
E' una promessa.



martedì 27 marzo 2012

Un buon inizio.

La settimana scorsa ho fatto un paio di colloqui in un'azienda.

Ora.
Più i colloqui erano andati bene meno dormivo la notte. Mi vedevo come una giovane Franz Kafka, uscire dall'ufficio alle sette di sera, frustrata, o chiusa in bagno in pausa  pranzo ad annotare i miei pensieri sulla carta igienica. 
Purtroppo non sono Kafka e in tempo di crisi le mie paure romantiche sono ridicole, lo so.

Le mie amiche possono dividersi in due macro categorie. Quelle che credono al destino, chiamiamole, "le paranormali" e le "razionaliste convinte", capostipite la mitica Aldicchia. 
Io mi colloco esattamente nel mezzo, per questioni di comodo, credo, meglio prendere un po' dell'una e un po' dell'altra, non si sa mai. 
Paola il destino non lo concepisce proprio. E trova ridicolo quando prendo decisioni sulla base di sogni o segni, fuma la sigaretta col mezzo sorriso, che cazzo stai dicendo? Eppure Pabli, sono andata dalla parrucchiera per rasarmi e lei non c'era, avevamo appuntamento, devo tenermi i capelli lunghi, è destino, fidati.

Ecco, dopo il colloquio ho una brillantissima idea.
Prendo il vangelo, sì, il vangelo e lo apro bruscamente, scelgo una pagina a caso. Le prime righe che leggerò saranno la risposta alla mia domanda.

Cosa devo fare, lo accetto questo lavoro che mi fa già sentire la vita in gabbia?

Galati 5,  Perseverare nella libertà.

"eravate partiti bene; chi vi ha fatto inciampare sulla via della verità? quel che vi hanno detto per farvi cambiare idea non proviene di certo da Dio che vi chiama. Ma badate bene: un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta. Ma per quanto vi riguarda il signore mi dà fiducia: non prenderete un'altra strada [...]"

Mi si è gelato il sangue. Lo giuro.

Da improvvisa seguace del paranormale avrei chiamato subito la ditta, no grazie, ho cambiato idea, non lo voglio, il vostro lavoro, ho fatto il colloquio tanto per scherzare.

Da razionalista, povera, dovrei vietarmi i Ghostbusters e le palle di vetro.
E anche il vangelo.

Ho detto di sì.
Non ha vinto il razionalismo, sia chiaro, quanto piuttosto la povertà.

Ho un mese di tempo per affermarmi nel panorama letterario nazionale, questa è l'unica via di scampo.

Intanto, prima di addormentarmi, mi metto a fantasticare sul modo in cui mi licenzierò. E' un pensiero che mi dà sollievo, mi fa dormire meglio.
Chi ben comincia è a metà dell'opera, dicono.




martedì 15 novembre 2011

Un colloquio.

Mi chiamo Ilaria il cognome è difficile, sì, me lo chiedono tutti, si pronuncia con la g gutturale. Da dove vengo. Bé se hai la faccia intelligente ti racconto tutta la storia, della Slovenia, si, ok sono un po' slava, anche se non è proprio corretto, austroungarica sarebbe più giusto. Se hai la faccia da leghista ti dico che sono tedesca, tu pensi che i tedeschi siano più ricchi degli italiani e ti metto il cuore in pace. Ho pure gli occhi azzurri cosa vuoi di più.
Cos'ho studiato? Lettere, linguistica per essere precisi. La battuta su come sarò brava allora a usare la lingua è vecchia come il cucco, sappilo. Non mi sei più simpatico.
Ho studiato linguistica perché mi sarebbe piaciuto rimanere a fare il dottorato. 
Perché non sono rimasta all'università? Perché se un laureato in lettere è inutile un dottorato in linguistica lo è il doppio. E adesso evita. Non guardarmi con quella faccia ipocrita. Cosa? Non dovrei pensarla così? La mia coinquilina a trentatré anni viveva ancora in appartamento con tre studentesse di venti e si faceva dare la paghetta dai suoi genitori. Pensionati. Io vorrei avere un figlio da giovane. Se voglio una famiglia? Certo. Mi piacciono i nomi strani e le domande dei bambini. Guarda. Se una donna vuole dei figli non vuol dire che accantonerà il lavoro. Anzi. Io voglio lavorare per non essere una di quelle madri col pancione e i capelli grigi, mi fanno tristezza. 
Devo descrivermi con tre aggettivi? Bé. Direi intelligente, ma so che penseresti che ammettendolo io sia solo una presuntuosa, quindi facciamo sveglia, sì, sono sveglia, anche se le battute del Berlu non mi fanno ridere. 
Poi.
Sono volonterosa, che quando cerchi un lavoro va sempre bene. VOGLIO TANTISSIMO il lavoro che mi stai offrendo, ho sempre studiato aspirando a uno stage in cui mi paghi due euro e quarantaquattro centesimi all'ora. Adoro.
Ah, e in ultima direi che sono sempre aperta al nuovo. Che non vuol dire un cazzo, lo so, ma mi rende disponibile e tu mi fai un sorriso.
Da quando ho cominciato col corso di dizione ho scoperto che a recitare me la cavo. O per lo meno. So raccontarti la storia dell'orso con una voce che viene dal diaframma molto professionale.
Qual'è il mio lavoro ideale?
Io voglio scrivere. L'ho sempre saputo.  Sì, sì, certo se lo vuoi chiamare hobby e mi fai quella faccia scettica mi sta bene. Ma poi se pubblico e il libro te lo infilo nel culo non lamentarti. 
Te l'avevo detto che ci sarei riuscita.
Che voto darei alla tua offerta da 1 a 10?
Un otto SENZA OMBRA DI DUBBIO. Il mio tempo è gratis, te lo regalo! Noi siamo giovani, abbiamo tutta la vita davanti. Ma figurati, se facciamo un po' gli schiavi cosa vuoi che sia?!? Lo facciamo volentieri. Si corrobora lo spirito! E se la mia privata diventerà esile come le donne sulle passerelle, pazienza, vivrò per il mio lavoro.

Mi farete sapere.
Bene, grazie. Sì, sì. Intanto non prendo impegni. Aspetto la vostra telefonata.
Stanne certo.