sabato 31 ottobre 2015

Caramelle

Quando posso leggo raccolte di racconti, ormai lo sapete.
A tante persone leggere i racconti non piace, finiscono subito, dice Marco. Una raccolta di racconti secondo me è come un pacchetto di caramelle. Puoi decidere di succhiarne una e aspettare per le rimanenti, oppure puoi scegliere di scartarne una dopo l'altra, non si sa mai che ti sia sfuggito un gusto.
Io generalmente sono un'ingorda. Quando ho scoperto Carver ho comprato tutte le nuove edizioni, con Saunders è successo altrettanto.

Quando è uscita l'Età della febbre, mi sono fiondata in libreria: che meraviglia, ho pensato, una raccolta con un titolo bellissimo e la copertina gialla (il giallo è il mio colore preferito). In più avevo letto ottime recensioni: gli undici migliori autori italiani under 40 dipingono l'Italia degli anni Zero, pancia mia fatti capanna!
Sono rimasta a digiuno perché quei racconti in realtà erano piuttosto insipidi, cervellotici a tratti, non entravo in empatia. La carta insomma luccicava troppo rispetto al contenuto. Cominciavo con una storia, mi annoiavo, passavo alla seguente, mi innervosivo.

Quando una raccolta di racconti mi delude, generalmente mi delude più di quanto possa fare un cattivo romanzo.

Abbiamo le prove è la rivista on line di Violetta Bellocchio. La tengo d'occhio da un po' perché mi piacerebbe scriverci, ma sono una persona onesta che quando scrive mente spesso: su Abbiamo le prove si devono raccontare solo storie vere, così entro in conflitto con me stessa e non oso.
Comunque.
Per la Utet qualche mese fa è uscito Quello che hai amato, una raccolta con undici racconti scritti dalle donne della Bellocchio (alcune hanno un sacco di pubblicazioni, eh, non son mica pivelline).
L'ho comprata martedì, senza aspettative, l'altro ieri l'ho finita.
Mi è piaciuta tantissimo.
Le autrici sanno tutte il fatto loro e ciascuna per motivi diversi, è riuscita a tenermi incollata alle pagine, volendone ancora, ancora e ancora.
Il filo conduttore che lega i racconti è l'amore, che non ha mai la stessa forma, per nessuna: una città, una persona, un oggetto, un lavoro. Senza sensazionalismo, retorica e soprattutto senza narcisismo le scrittrici hanno saputo usare la prima persona includendo il lettore nella loro singolarità, che si apre e improvvisamente per diventare plurale e condivisibile.

Un raccolta di racconti in fondo è molto meglio di un pacchetto di caramelle, perché quando la rileggi puoi scoprire sapori nuovi.
In Quello che hai amato io ho sentito calore, compostezza e presenza, ma c'è tanto altro, fidatevi.

Quando ho una scatola di Tic-tac in borsa di solito chiedo a tutti se ne vogliano una, ecco allora: se siete arrivati fino a qui fate un passo in più e andate su Abbiamo le prove, troverete gli inizi dei racconti di cui vi sto parlando. Assaggiatene qualcuno, non si sa mai che abbiamo gli stessi gusti.

mercoledì 28 ottobre 2015

Polvere

C'è una donna che spazza la strada, ogni giorno.
Quest'estate vedevo il sudore colarle dai vestiti, portava canottiere larghe che non si preoccupava di sistemare quando le cadevano dalle spalle. Così le guardavo il collo e l'inizio di due seni flaccidi che sbattevano uno contro l'altro come gelatine arrabbiate. 

Non c'è niente da pulire sulla strada. Passa solo qualche auto, nessuno getta cartacce, ogni tanto qualche foglia si ferma vicino al marciapiede.

La donna spazza comunque, anche quando piove. Se tiene la scopa non ha abbastanza mani per stringere l'ombrello, così i capelli bagnati si incollano al viso e gli occhi si fanno ancora più sporgenti.

Chi la vede pensa sia una vecchia che col tempo ha perso la ragione.
Io credo che spazzare la strada sia solo un modo perbene per sentirsi meno soli.

lunedì 12 ottobre 2015

Scuola

Ci alziamo coi cacciatori che sparano alle nuvole rosa, il mattino inizia pigro, beviamo il caffè con la luce spenta, così gli occhi sbattono via il sonno un po' alla volta.
Sotto la felpa metto le mezze maniche, perché da quando insegno il mio deodorante fallisce in fretta abbandonandomi all'odore delle mie paure.
Torno a casa con le dita sporche di gesso, mi metto a studiare dopo i Simpson, come quando andavo al liceo.
Trascorro notti insonni sul divano a ripassare la grammatica, anche se non voglio. Mi lamento spesso e somiglio sempre di più a mia madre. 
Non è mica male, la vita.

giovedì 1 ottobre 2015

Squillino le trombe!

Questo mese esce questa antologia qui, si chiama L'amore ai tempi dell'apocalisse ed è curata dall'amico Paolo Zardi.
Tra gli scrittori ci sono anch'io, il mio racconto si intitola Amen.
Ordinatela tutti, ordunque!

giovedì 17 settembre 2015

Tagadà

Passeggio in un paesino dove sono arrivate le giostre.
Davanti a me camminano tre bambini con la pelle color cappuccino, tipi allegri con la cartella molto più grande di loro.
Davanti al tagadà si fermano: ci sono cinque ragazzoni coi capelli alla moda.
Signori giostrai, urla un bambino, sul tagadà ci possono salire quelli di sei anni?
No, gli risponde il giostraio, non facciamo mai salire i bambini immigrati.

giovedì 10 settembre 2015

Diario di bordo: Tfa, secondo ciclo, seconda parte

Il primo trimestre arrivano gli insegnanti di pedagogia che insegnano come insegnare a chi già insegna. Qualcuno li ascolta perché per il corso ha pagato quasi tremila euro, qualche altro non li ascolta per lo stesso motivo. Tutti ci annoiamo da morire.
La maggior parte dei docenti ci spiega che dobbiamo promuovere lo sviluppo di competenze negli alunni in ottica inclusiva, possibilmente adottando tecniche didattiche diversificate, al passo con i tempi reali e digitali, e lontane dalla barbosa didattica tradizionale, ormai superata. 
Tengo a precisare che la pappardella ci viene vomitata addosso attraverso splendide lezioni frontali monologate, che hanno una durata media che va dalle due alle quattro ore, se siamo fortunati con una pausa centrale di dieci minuti. 

Sospiriamo, io leggo i romanzi di nascosto. 

La prima cosa che impariamo quando parliamo di handicap è di non chiamarlo mai con il suo nome, ma di nasconderlo dietro il nome del ragazzo che lo porta, per rispetto, ci dicono. 
In classe ho un caso di autismo. SBAGLIATO. Sei matto? E' umiliante. Devi dire. In classe c'è Federico che è affetto da autismo.
Peccato che poi come compito per casa ci diano da scrivere uno studio di caso.

Una docente di didattica speciale ci tratta a priori come se avessimo picchiato un disabile. Ci ordina di alzare la mano se ci riteniamo persone normali. Pronuncia la parola normali come se fosse sinonimo di serial killer
Nessuno si muove, un po' per omologazione, un po' per farla tacere il prima possibile. 
Sostituiamo le parole tabù - cieco, zoppo, handicappato - con tecnicismi più anonimi - ipovedente, BES, DSA. Uno studioso americano che avevo inserito nella mia tesi si chiedeva provocatoriamente "l'invalido si alza dalla carrozzella se lo chiami ipocinetico?"
In Italia pare di sì.

Non vedo l'ora che arrivino gli insegnanti di lettere, dice qualcuno.
Il secondo trimestre arrivano. Didattica della letteratura, della storia, della geografia, educazione linguistica.
Sono tutti miei ex docenti universitari che dichiarano apertamente che loro a scuola non hanno mai insegnato e che odiano i pedagogisti. Sta volta nessuno ci insegna come insegnare, abbiamo l'onore di ascoltare degli pseudo corsi monografici, brutte copie di programmi che troviamo pari pari sul sito di unipd, già pensati per le lauree triennali.
Quella di letteratura ci racconta Il conte pecoraio, quello di storia le Annales, l'insegnante di educazione linguistica si ingarbuglia proponendoci modelli di grammatica valenziale che lei stessa fatica ad interpretare.

Sopportiamo facendo il conto alla rovescia, quanto manca alla fine? 
Impariamo a chi non vogliamo somigliare. Mai.

(continua..)


Ti sei perso la prima parte? Eccola!

giovedì 27 agosto 2015

Una fiaba

Dopo un paio di mesi di letture sfortunate, arriva lui. Justin Torres.

Chi mi conosce lo sa, uno dei libri al quale sono più affezionata è il Grande Quaderno, il primo della Trilogia della città di K. Pensavo di non trovare niente di simile e per un periodo mi pareva che nessuno scrivesse meglio della Kristof. E invece.

Noi, gli animali è un libro bellissimo, che in qualche modo mi ha ricordato terribilmente il Grande Quaderno. Sarà che si parla di bambini, sarà che quei bambini sono tutti fratelli. Di fatto Torres ha talento da vendere, racconta una famiglia senza spendere troppe parole per definirne i contorni: ha una lingua precisa, che accosta sempre gli elementi giusti trasformandoli in immagini fluide, che disegnano con armonia le simmetrie sbilenche presenti in tutto il libro.
Brooklyn si mischia alla natura come il padre nero fa con la madre bianca: senza mai riuscirci completamente.

Per chi ha voglia di leggere qualcosa di buono, Noi, gli animali è un gioiellino che ha la potenza delle fiabe, si ascolta fino alla fine, senza perdere il ritmo. Incanta e sorprende, lo consiglio a tutti quelli che hanno amato Agota, perché un po' la ritroveranno. 
Ritroveranno la poesia dell'infanzia crudele, la scrittura che incide e guarisce, la nostalgia per un tempo in cui giocavamo nei campi ed eravamo anche noi gli animali.