sabato 20 agosto 2011

Esilio

Una bambina timida vorrebbe esistere senza essere vista.
E invece tutte le volte andava nella stessa maniera. Cominciava l'appello. Io aspettavo che si arrivasse alla V e le budella mi si stringevano, sentivo il cuore battere come quando correvo la campestre, scolorivo cercando di far finta di niente. Pronunciavano il mio cognome storpiandolo il più delle volte, succede ancora. E immancabilmente arrivava la domanda che tutti a quel punto avrebbero voluto pormi.

Da dove vieni? 

Una bambina timida allora si sente affogare negli sguardi, sente di esser obbligata a costruirsi una faccia rassicurante, si trova a dover imparare a giustificare una differenza che non vede.

Qualcuno mi ha detto di averlo capito subito che ero straniera. Dai lineamenti, dall'accento. 
Io mio nonno non l'ho mai conosciuto. Né sono stata nei luoghi in cui è nato, quelli in cui, la gente, si immagina io abbia vissuto.

Vaglielo a spiegare che parlavo poco non perché non sapessi la lingua, la nostra lingua, ma perché avevo paura di non essere abbastanza per trovarmi degli amici.

Una bambina timida ha gli occhi di un estraneo. Sono cittadina di una terra che non esiste.
Il mio esilio.

sabato 13 agosto 2011

Soldati.

Il tempo precario ha eliminato i futuri, si procede col condizionale, viviamo in un periodo ipotetico di cui non ci è concesso essere premesse, ma solo conseguenze di generazioni egoiste. 
Stiamo stipati su una barca senza ancore, preda delle correnti e delle maree, i giovani imbiancano sperando di trovare un inizio.
C'è chi si getta in mare, qualcuno nuota fino a riva, qualche altro annega. Quelli che rimangono a bordo hanno fatto occhi di granito, le lacrime sono diventate cristalli di sale, si vede, non si guarda, non si può più guardare.

Ci dicono di continuare a navigare, arriveremo a mondi migliori. 
Quando preparo il caffè mi viene in mente Ungaretti, si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.

Il mio tempo mi ha messo la divisa, combattimi, mi dice.

sabato 6 agosto 2011

Da Carlotto

Arriviamo che sono le sette. Si entra facendosi largo tra gruppi di persone smozzicati, che si sgretolano e si ricompongono di continuo, a seconda degli umori e di chi offra da bere. All'interno l'aria sa vagamente di legno bagnato, tutti i respiri, stipati tra le bottiglie di vetro, le danno la gradazione alcolica, 15%, Biancorosso.
Carlotto è un posto appiccicoso. Le suole si attaccano al pavimento, se hai i tacchi non scivoli, se hai le sneakers scricchioli. Il rumore delle parole degli altri ti si incolla addosso anche se tu non ci fai caso, e quando esci ti ritrovi a sapere cose, neanche tu sai come.
Il Biancorosso si beve in piedi, anche se, quando arrivi al terzo, vorresti poterti sedere su un divano comodo e possibilmente dormire, solo un poco.
Carlotto mi ricorda l'Italia, come dovrebbe essere. Ci stiamo tutti, sempre.
La domenica poi si tiene chiuso, perché la domenica è un giorno di festa, non va dimenticata. Ci si ubriaca solamente nei giorni feriali, passi a bere un Biancorosso e arriva la sera che ti senti più leggero.
Usciamo per la cena.
E adesso che scrivo mi ricordo il sapore di Lisbona quando andavamo a berci una Ginjinha in una bettola in centro. Si era tranquilli, come quando si arriva in un posto nuovo, ma si sente che lì non potrà capitare mai niente di male, perché, ti pare, di esserci sempre stato.

venerdì 29 luglio 2011

a Firenze col Tiorfix.

Come tutti gli anni ho il raffreddore a luglio.
Quando viaggio porto sempre una scatolina con una ventina di pastiglie, perché non si può mai sapere. Quasi sempre non servono.
Quando si inizia a scegliere le "medicine da viaggio", si comincia pensando di portare solo lo stretto indispensabile. Si inizia da un paio di bustine di Aulin. 
L'Aulin però fa venire il mal di pancia. E allora si prendono anche i fermenti lattici. 
Ed ecco che scatta la reazione del "ma poi".
Ma poi potrebbe venirmi la diarrea. E allora agiungo il Tiorfix.
Ma potrebbe anche essere influenza intestinale. E contro il vomito serve il Plasil.
E se mi vengono le placche meglio portare l'antibiotico.
Ma poi, se viaggio in aereo, meglio mettere dentro anche un paio di tranquillanti, che altrimenti mi agito (se non ho i tranquillanti, mica per l'aereo!).
E se a Marco venisse l'allergia?  meglio portare dell'antistaminico. Zirtec.

Solo a Firenze, questo febbraio, il kit è servito a qualcosa. 

Il secondo giorno è iniziato con un "oh, oh, devo andare in bagno".
Tiorfix. 
Uffizi. Oltre agli splendidi capolavori, la Galleria ha delle toilettes veramente confortevoli.

Il pomeriggio Marco mi chiede di salire sulla cupola di Santa Maria del Fiore. E io non riesco a dirgli di no, perché ha gli occhi di un bambino e mi piace vederli ridere. Così saliamo. Solo che ci sono veramente tanti gradini, scavati in un cunicolo stretto che si percorre a testa china. Tutto il tempo prego dio che non mi faccia venire un altro attacco di diarrea, perché farla sopra a una chiesa mi sembrerebbe poco romantico, quasi una bestemmia, figuriamoci coi giapponesi tutt'intorno e le loro macchine fotografiche.
Finisce bene.

La sera andiamo a mangiare una pseudo fiorentina. Più che al ristorante io sto nel bagno del ristorante. Così Marco fa amicizia con due vecchi francesi offrendogli cantucci e vin santo.

Arrivo al b&b che sono stremata.
"E se sto male anche io, cosa faccio?" mi chiede.
"Se stai male ti curo."

Gli basta, ci addormentiamo.



lunedì 25 luglio 2011

La Maddalena.

Oggi ci sono le nuvole, mi viene voglia di mare.
Alla Maddalena il mare sa di cielo, e in Sardegna il cielo è sempre azzurro. 
"Noleggiamo un motoscafo!" ci avevano detto i nostri uomini, ma il mare ingoia, ci ricordiamo, così si protesta, "facciamo il giro dell'arcipelago in barca,  piuttosto!"
Abbiamo la meglio.
Alle dieci si parte a bordo della "Città di Chiavari".
Marco, il capitano, è un omuncolo tuttofare. Sta al timone, riesce ad assecondare le onde e a  raccontarci l'isola, e nessuno parla, tutti lo ascoltiamo volentieri.
Ci fermiamo alle piscine naturali. L'acqua è limpida, più delle lacrime di un bambino. Si tinge di bianco vicino alla spiaggia, lì il sole si specchia e rimane a guardarsi fino a sera. Ci si tuffa allegri e finché  mi immergo con la maschera mi chiedo che senso abbia il male. 
Ripartiamo che sono le due. E il nostro capitano, che è pure un ottimo cuoco, cucina una pasta al dente per tutti i cinquantadue passeggeri. 
Mi piacciono i marinai perché camminano scalzi e perché sanno ringraziare: gettano ai gabbiani i gamberoni rimasti, il mare nutre loro e loro nutrono il mare, ci spiegano. E' un rito. Al povero Mirco, nostro compagno di viaggio ancora affamato, non resta che invidiare i gabbiani.
Tocchiamo altre spiagge, nel pomeriggio le onde sentono che presto arriverà il maestrale e sono nervose, cominciano ad agitarsi. Rientriamo al tramonto. 

Facendo la doccia penso senza nuvole si vive più felici.



sabato 16 luglio 2011

La casa.

Mi piace avere una casa perché mi piacciono i ritorni. Mi ricordano com'è abbracciare qualcuno quando non ci si vede da tempo. Abito in una cittadina sotto le montagne, spesso piove. Le nuvole vengono fermate dalle cime più alte, d'estate si accumulano temporali, d'inverno pianti lunghi settimane. Mi piace avere una casa per poterla lasciare, perché un abbraccio troppo intenso ti può stritolare, così parto per prendere respiro e avere nostalgia di quello che ho appena lasciato. Mi piace avere una casa perché so che la porta rimane sempre aperta. 
Solo se esiste un inizio si può raggiungere una fine. Solo con la partenza ci potrà essere il ritorno.