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mercoledì 19 marzo 2014

Father's Day

E' sera e io ho dodici anni. Sono in giardino con mia madre, dove ci sono le canne di bambù, verso la strada. 
Improvvisamente dalla cucina si sentono urla furibonde, rumore di sedie, un tonfo secco.
Poi silenzio. Mia sorella, allora bambina, esce fuori e ci raggiunge: ho ucciso il papà, ci dice.

Mio padre ci ha sempre ricordato che se siamo nate è perché ci voleva mia madre, lui no. Preferisce i cani, Bala, il nostro Bovaro, lo chiama il mio bambino abbracciandolo fortissimo.
Per noi non è mai stato un problema, ci ha sempre fatto ridere e ha sganciato spesso.
Il primo ricordo che ho di lui è quando mi ha portata a raccogliere funghi invece che andare all'asilo, mi ha comprato un bellissimo paio di stivaletti dei Puffi e sono stata felice tutto il giorno.

Per far dispetto a mia madre quando avevo un paio di anni mi aveva insegnato una filastrocca, che io capivo poco, ma che mi pareva divertentissima per l'effetto che provocava sulle persone quando la recitavo, e lo facevo spesso, a tradimento, facendo vergognare mia madre: tempo belo spisa l'oselo, temporale spisa le bale. Ma forse ve l'ho già raccontata.

Mio padre è un tipo piuttosto irascibile. Quand'ero adolescente e facevo qualcosa che non andava bene mi chiudeva in camera per due giorni, avevo il permesso d'uscita soltanto per fare pipì,  non potevo ricevere visite né rispondere al telefono. Così una volta scontata la pena gli sputavo nel caffè.

Con mia sorella ha sempre avuto un rapporto conflittuale, anche quando Serena era bambina. E torniamo a quella sera d'estate: ho dodici anni, sono con mia madre e mia sorella ci ha appena detto: ho ucciso il papà.
Corriamo in cucina lo troviamo disteso a pancia in su, immobile, in un lago di acqua frizzante.

Serena non voleva spreparare la tavola. Gliel'aveva ordinato una, due, tre volte. Mia sorella non voleva, neanche per sogno. Alla quarta l'aveva mandato a quel paese così mio padre aveva provato a suonargliele. Solo che Serena era svelta, aveva cominciato a correre intorno al tavolo con mio padre alle calcagna, non riusciva a prenderla, né a bloccarla. Così con un lampo di genio aveva pensato di rovesciare la bottiglia di Ferrarelle sul pavimento in modo da farla cadere. 
Solo che Serena non era caduta, era una bambina sveglia, era scivolato lui che aveva l'ernia al disco e trant'anni in più.

E' sopravvissuto. Siamo sopravvissuti, piuttosto bene devo dire, tutti insieme.

Mio padre quando oggi gli ho fatto gli auguri mi ha ricordato di essere un tipo materialista, gli piacciono i regali, soprattutto tecnologici. Per fortuna non ho ancora preso lo stipendio.

venerdì 27 aprile 2012

L'appello

Quando vi chiamo dovete entrare nel cerchio.
Traccio col piede una luna piena un po' sbilenca.
Maestra, quello lì è un quadrato.
Non importa, fate finta che sia un cerchio, entrateci lo stesso, fate una giravolta e tornate a sedervi.
Maria Vittoria, non metterti le dita nel naso, sveglia che sei la prima!
La bambina abbassa la testa, segno una P anche se rimane impietrita a fissarsi le punte delle scarpe. 
Andrea C. ?
Dalla panchina dei bulli un bambino proiettile prende la rincorsa e in scivolata entra nel cerchio, cancellandolo. Si rialza ridacchiando, fa un giro su sé stesso e torna al suo posto. I compagni intanto gli hanno sputato nel bicchiere.
Quando chiamo Gaia arriva anche Elena, quando chiamo Elena arriva anche Gaia. Si tengono strette, quando una ha le mani impegnate l'altra le stringe il bordo della maglietta. Sono cugine.
Ludovica. Presente. 
Geremia, presente e innamorato, mi guarda arrossendo, non riesce a parlarmi, ubbidisce e mi sta vicino. Se qualcuno prova a prendere il suo posto piange, è troppo timido per alzare le mani.
Il chiasso presto ingoia la mia voce. 
Silenzio!
Nessuno mi sente.
Corro da Giulia, che si stringe il cavallo dei pantaloni e fa dondolare le gambe, Giulia corri a fare pipì! Dai corri! La bimba mi sorride e fa di no con la testa. Rimane seduta.
Fate silenziooooooo!
Non serve. Così metto due dita sotto la lingua, fischio il più forte possibile. 
Funziona.
I bulli mi guardano rapiti, buttano per terra i sassi e si infilano le dita in bocca soffiando fuori l'aria.
Maestra ci insegni come si fa?
Annalisa continua l'appello urlando dentro il megafono.
Va bene, dove posso sedermi?
Neanche a dirlo Matteo ha spinto per terra Antonio, e supplica, maestra, vieni qua! Mi siedo, prendendomi Matteo sulle ginocchia che fa un sorriso smagliante a tutti gli altri.

Lo sai che anche mio papà sa fischiare come te?
Ah sì?
Sì.
Maestra, ma hai anche tu un papà?
Si che ce l'ho!
Io ho anche un cane. Non so a chi voglio più bene.

Arriva Giulia, ha ascoltato tutta la conversazione.

Invece, mio papà sa volare.

E lo dice talmente decisa che nessuno dei maschi osa replicare.

Veramente? e faccio gli occhi grandi inarcando le sopracciglia, che per un bambino significa sorpresa o magia.
Lei annuisce col capo.
E cosa ne dici se ci andiamo a cambiare?
No, maestra, ho solo sudato.








venerdì 13 gennaio 2012

C'era una volta.

Ieri il biglietto per andare a Padova mi è costato cinque euro e dieci, sola andata.
Quando ho iniziato l'università un biglietto costava quattro euro e sessantacinque.
Quando mia madre era bambina erano gli insegnanti ad avere sempre ragione. Se qualcosa andava storto era meglio tacere, altrimenti le prendevi pure dai tuoi.
Quando mio padre abitava in paese si giocava per le strade fino a tardi, le ginocchia si sbucciavano, come le arance, senza farci troppo caso.

Quando si era giovani era sempre meglio di oggi.
Mia mamma me lo ricorda facendomi la predica.

Ilaria.
Quando tua nonna era giovane andava a prendere la farina in bicicletta fino a Isola dopo esser stata in fabbrica. E Pippo passava a bombardare. Oggi la macchina la uso io e tu vai a piedi.
Oppure.
Guarda che quando vivevo con tua nonna, mai, mi sarei sognata di rispondere col tono che stai usando ora. Vergognati. Una volta si aveva più rispetto.
E ancora.
Ilaria smettila di comprarti vestiti che quando ero ragazza di vestiti da festa ne avevo solo un paio. Tu hai l'armadio pieno. Vergognati (e riddaje)

Quando era una volta io non c'ero. Deve esser stato proprio un brutto mondo.

Mica posso controllare, mugugno a mia madre.
Mi prendo uno di quegli schiaffi sacrosanti.

Quando avrò una figlia le dirò, mia cara, mia madre sì che me le dava di santa ragione. Non come te adesso, che mi rispondi con questa faccia.
Anzi. 
Meglio!
Quando avrò una figlia il passato lo distorcerò proprio del tutto. Inventerò aneddoti che sostituiscano quelli veri, o almeno una parte
Diventerò una specie di Giovanna D'Arco. E Marco un nuovo Padre Pio.

Quando sarò vecchia una volta sarà sempre meglio di domani, perché infondo è andata bene ed è un peccato che possa finire.









martedì 27 dicembre 2011

Femmine.

Dagli otto ai dieci anni mi facevo tagliare i capelli cortissimi perché volevo sembrare un maschio. 
Più che maschio parevo una scimmia. 
Il peggio l'ho raggiunto quando ho scelto l'abito per la prima comunione, in tulle, ampio, con una fantasia improponibile a fori rosa e azzurri. Sembravo una scimmia vestita da damigella, come quelle che mettono in braccio ai bambini che vanno a vedere il circo, per fare la foto.
A me le femmine parevano stupide.  
Mi arrampicavo sugli alberi e sognavo di uccidere Saddam Hussein.
Ci pensavo prima di addormentarmi. 
Quando ancora non volevo diventar mecenate, avevo deciso che avrei salvato l'umanità. Saddam di me si sarebbe fidato, fa solo le elementari ed è una femmina, si sarebbe detto. Io l'avrei sgozzato nel sonno. 

Oggi vorrei tagliarmi i capelli cortissimi, ma sono diventata una donna. 
Non vorrei tornare scimmia. 
E prima di addormentarmi faccio l'elenco di cosa vorrei comprarmi a gennaio, quando arrivano i saldi. Due paia di jeans, una borsa, un maglione, due paia di leggins push-up, una giacca a vento verde smeraldo, un paio di stivali e un anello con l'ametista. 
Sono diventata talmente femmina che il pensiero di comprare mi fa sentire subito meglio. Quasi euforica.

Ed ecco che improvvisamente sento tornare la vecchia Ilaria.
Inorridisce.

Inorridisco.
Penso che con tutte le cose che voglio spenderò una fortuna.
Meglio andare da mio padre o da Marco, e bisbigliare richieste con non-chalance,  impostando la voce in modalità convincimento.

Erika dice sempre, l'importante, con un maschio, è farlo sentire al centro del mondo. Bisogna fargli credere che sia stato lui ad avere un'idea geniale.

Quando mio padre mi comprerà la giacca verde smeraldo gli farò gli occhi brillanti. 
Papi, grande! io non ci avrei mai pensato, hai avuto un ottimo gusto!


Essere donne è bellissimo.