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martedì 7 gennaio 2014

Prosciutto gatto

Ballarò detto Gnogni è stato il mio primo gatto. Dormivamo insieme quando ancora stavo in culla, bei tempi. Mia madre l'aveva portato in campagna da mia nonna, perché in estate riempiva di peli l'appartamento al quinto piano.

Da bambina tiravo tutte le code dei gatti cui passavo accanto come fossero state le corde delle campane la domenica mattina.
Una volta ci avevo messo troppo a scappare, Ballarò si era voltato e si era aggrappato al mio polpaccio, stringendolo bene con le unghie, tutte, e poi affondando i denti, tutti.
Portavo i pantaloncini corti e i calzettoni ricamati tirati su fino alle ginocchia. Avevo urlato, così mia nonna era corsa fuori e mi aveva preso in braccio. Le avevo piantato il muso perché voleva medicarmi e peggio del gatto era l'acqua ossigenata. Così le avevo proibito di abbassarmi i calzini e di controllare le ferite, che più che altro erano puntini rossi, avevamo guardato Beautiful in silenzio e io per consolazione avevo ricevuto una dose doppia di Fiorello e miele.

Mi è venuto in mente ieri, a pranzo, all'improvviso.

Per anni ho chiamato il prosciutto crudo prosciutto gatto, perché mi ricordava l'odore di Gnogni, mi rifiutavo di mangiarlo perché mi pareva che sapesse di baffi e croccantini e io i croccantini li avevo assaggiati davvero e facevano schifo.

Ballarò è morto investito, litigando con un gatto rosso, probabilmente per amore. Avevo nove anni, l'abbiamo messo in una bacinella azzurra e poi l'abbiamo seppellito in giardino, il primo di una lunga serie. La terra e gli anni hanno sbiadito i gusti e gli odori e a poco a poco anche i miei pensieri. Ho dimenticato il prosciutto gatto e ho cominciato a mangiare il prosciutto crudo senza fare storie.

Quando ero bambina è sempre più tempo fa ed è un peccato poter solo ricordare, sempre un po' peggio.