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domenica 30 giugno 2013

Un sospetto

Gli dico che ci hanno chiesto di andare a cena e mangiarci una coppa gigante di gelato, visto che fa caldo, visto che non abbiamo niente da fare e che sarebbe proprio una bella idea, ne avrei davvero voglia e Matteo e l'Isabella li vedo volentieri. Allora andiamo?

Sono le due. Marco gioca con le palline magnetiche di mio padre, mi dice mh, mh, va bene, rispondi tu e dì di sì. Poi si reimmerge nella costruzione di un cubo, l'encefalogramma disegnerebbe probabilmente una sequenza di mattoncini rossi, blu e gialli.

Per San Valentino gli ho regalato il motoscafo della Lego Technic. L'ha voluto montare subito, tu fai la cerca-pezzi, mi ha ordinato. Se vuoi che un uomo spenga il cervello punta sulle costruzioni, Meccano, Lego, va bene tutto.

Arrivano le sette. Stiamo per uscire. Prende le chiavi e mi chiede, ma dopo il gelato dove andiamo a cena?
Ceniamo con la coppa di gelato, te l'ho detto prima.
Gli si dipinge in faccia un'espressione di terrore, quella che fa  tutte le volte quando c'è di mezzo il cibo e qualcosa non gli va bene. E se non mangio abbastanza?
Prenditi la coppa più grande, gli rispondo.
Lui mi guarda con gli occhi lucidi, si siede sul letto. Sei proprio sicura di voler cenare col gelato? mi domanda.
Sì, lo sono.
Perché io non sono sicuro di averti detto di sì. Anzi, non mi ricordo proprio di avere sentito questa cosa. 
E aggiunge. 
Se mi vedi giocare con le palline devi sapere che non ti ascolto. Dovevi chiedermelo di nuovo quando avevo finito. E' colpa tua.

Mi metto le mani in tasca per non strangolarlo. Gli dico, mangio quello che vuoi. Ma adesso prendi il telefono e glielo spieghi tu a Matteo e la Lella.
Ci prova anche con loro, ma siete proprio sicuri di voler cenare con un gelato? Loro rispondono di sì, gli va buca.

Usciamo e lui fa un muso lungo che arriva fino in Sudafrica. Smette di parlare e rimane con la testa bassa. Lo prenderei a calci. Mi scuso con gli altri, lui si arrabbia ancora di più perché mi sono scusata per lui.

A metà serata un'ottantenne scappa dai figli e viene al nostro tavolo, mi posa la mano sulla spalla e ci dice che dobbiamo volerci bene, perché diventeremo vecchi e poi ci mancherà. Ci racconta della sua giovinezza, poi si dimentica di avercelo raccontato e inizia da capo. Rimane con noi per una buona mezz'ora, ascoltiamo la stessa storia almeno cinque volte.

L'altra sera siamo andati al ristorante. Marco era incerto tra la tagliata e il rombo. Io ho preso il rombo e lui si è lanciato di gusto, ma sì, dai che prendo rombo anch'io! Quando ci hanno portato i piatti e ha capito che il rombo era un pesce, si è spento all'improvviso.
Pensavo che rombo fosse un taglio di carne, mi ha detto. Se faccio quello che fai tu sbaglio sempre, dovevo immaginarlo che c'era un tranello.

Io credo che da vecchia avrò nostalgia della giovinezza, ma ho il fondato sospetto che certe caratteristiche del mio consorte dureranno nel tempo e se adesso è così figuriamoci quando si rimbambisce davvero.


domenica 20 maggio 2012

Maieutikè

Guardiamo la finale di Champions, Chelsea-Bayern. Io tifo gli austriaci. 
Ilaria, in caso tedeschi, Bayern Monaco, Germania. 
Bé, tifo per loro perché hanno la maglia giallo rossa. 
Ilaria, è bianco rossa, ma ci vedi? 
No, non ci vedo, ho gli occhiali in camera e non ho voglia di andare a prenderli.
Di fatto, vincono i londinesi ai rigori.
Decidiamo di uscire, fanno un concerto all'Arcadia, chiedi a tua sorella che musica suonano.
Post-rock-doom.
Andiamo verso, nonostante io mi stia chiedendo che cazzo voglia dire post rock doom. Quando arriviamo scopriamo di dover pagare. Marco mi chiede, allora, cosa vuoi fare? Dai decidi tu, che a me questo genere non interessa più di tanto, possiamo andare a berci una birra da qualche altra parte.
Ho la malaugurata idea di rispondere, per me è veramente indifferente.

Scatta la predica.
Ilaria, ma come può esserti indifferente? O una cosa ti va o non ti va, come puoi mettere sullo stesso piano due scelte opposte? Sai, l'indecisione non porta a niente. Ricordatelo. Bisogna essere pratici, una cosa ti piace o non ti piace. Allora, cosa preferisci, andiamo o restiamo?

Per praticità dico, andiamo a bere, per farlo smettere prima.

Mai l'avessi fatto.

Ecco, lo vedi che avevi una preferenza?!? Mi tocca tirati fuori tutto? Lo sapevo, un po' di carattere, amore mio! Devo usare sempre la maieutica? (ebbene sì, ha detto proprio MAIEUTICA).
Dai, andiamo a prenderci sta birra, e impara a scegliere autonomamente.

Io continuo a pensare che mi era davvero indifferente restare o andare.

E poi capita che Marco apra il menù.
Chi lo conosce avrà già intuito, su Marco e il cibo si potrebbero scrivere interi libri.

Oddio, non so cosa scegliere, c'è troppa roba buona.
Secondo te cosa scelgo? 

Quando abitavamo a Padova al supermercato si bloccava in mezzo alla corsia. Voleva comprare tutto, nonostante la lista. Ilaria, sono paralizzato, aiutami! Così o lo tiravo per un braccio, portandomelo dietro senza ascoltarlo come coi bambini, o lo abbandonavo da solo col carrello. Fai tu, basta che la pianti.

Ed ecco,  non sa che panino ordinare. Li valutiamo tutti. 

P a z i e n t e m e n t e.

Si sbaglia pure e mi chiama mamma. Mamma, hai guardato le focacce?

Maieuticamente potrei estrapolare se vuole una bruschetta, o un cheeseburger.

Fortunatamente ho studiato lettere, non filosofia. 
Decido per lui senza tanti giri di parole.

E vissero per sempre felici e contenti.





giovedì 25 agosto 2011

Al Faça e Garfo.

Faça in portoghese significa coltello. Ce l'aveva scritto una cameriera sulla maglietta.
Era sera e avevamo fame.
Andare a cena con Marco è piuttosto impegnativo, perché vorrebbe mangiare bene, spendere poco, provare qualcosa di nuovo, possibilmente goloso, che sia al contempo anche tipico. Non si deve entrare in un posto squallido, ma neanche in uno troppo formale. 

Io invece quando ho fame mangerei anche mio fratello sotto il tavolo, divento nervosa.

Eravamo a Lisbona, alla ricerca di un ristorantino che fosse  originale, sfizioso, carino e nuovo, appunto.
Sono sempre stata contraria agli aggettivi, io. Se se ne ammucchiano troppi ci si confonde. E Marco, come al solito era andato in corto circuito. Non sapeva scegliere e diceva, andiamo avanti, magari più in su c'è qualcosa di migliore. 
Più in su, ecco. 
Fermiamoci un momento.

Lisbona è una città di salite e di discese. Le case si inerpicano sulle colline come l'edera, i tram e gli elevadores salgono a fatica, rallentando a passo d'uomo quando la pendenza diventa massima.
Bene.

E adesso immaginate me  piena di fame e di buoni propositi che mi dico, resisti a te infondo va bene tutto, lascia che sia lui a decidere. La prima mezz'ora.
Poi la seconda attacco con le proposte, fermiamoci qui, dai, sembra buono!
Quando ammutolisco può essere per due ragioni. O mi sto per sparare o  gli sto per sparare.
La terza mezz'ora passo alle considerazioni sull'amore, se infondo ne valga davvero la pena, e mi vedo arrancante a settantanni, in giro col bastone e con tre nipotini  che urlano, in cerca di un posticino "più goloso", come dice lui.

Allora ero in silenzio da almeno dieci minuti, lui incalzava, forza, andiamo a vedere cosa c'è più in su.
In quel momento, pensavo che sarebbe stato bello che una tegola gli fosse caduta  in testa. 
E proprio non ce la faccio a salire ancora, lo guardo e biascico, io, entro lì. Se vuoi puoi accompagnarmi.

Il Faça e Garfo è stato un miracolo. Troppi aggettivi confondono e ti fanno perdere la via, ma quando, per caso, li trovi davvero riuniti tutti insieme, ti fanno stare che è una meraviglia. 
Mangiamo, spendendo poco,  piatti della migliore cucina portoghese. Si beve tanto vino. La cameriera è una ragazza simpatica, una di quelle che ti mettono di buon umore senza chiedere nulla in cambio.

Ha scritto faça sulla maglietta e noi, che non sappiamo una parola in portoghese, pensando che sia quello il suo nome di battesimo, la chiamiamo "coltello" per tutta la sera.

Con la pancia piena penso che arrivare a essere vecchi insieme, continuando a cercare "qualcosa di goloso", sia un trionfo.