giovedì 3 marzo 2016

Lascia o raddoppia

Una delle mie amiche più care per un certo periodo mi chiamava la zingara. Avevo rivoluzionato la mia vita più o meno all'improvviso, diceva che da persona metodica e moderata ero diventata scatenata e incostante. Io credo invece di essere più che altro una persona drastica, quando cambio mi rivolto come un calzino, senza pensare più a quello che ero prima. Ho chiuso relazioni, tagliato i capelli, cambiato amici solo dopo averci riflettuto in silenzio e credo che i cambi di rotta mi abbiano sempre e comunque salvata.

Questo blog esiste dal 2011. Ogni tanto ci pensavo a chiuderlo, mollare tutto e smettere di raccontare agli altri pezzetti dei miei pensieri. Credo che il Pesce Volante abbia funzionato proprio perché mi son sempre ripetuta di non avere nessun obbligo nei suoi confronti. Scrivo solo quando me la sento, se passano periodi di silenzio amen. Così mi dico che forse chiudere non sarebbe un'idea brillante, forse devo solo rinnovare un po' i colori, cambiare i vestiti e  avere il coraggio di diventare un po' più adulta. 
Il mio blog mi ha portato a stare meglio, mi sono capita di più e ho conosciuto persone lontane che altrimenti non avrei mai incontrato.

Quando sono andata a convivere avevo una paura boia di lasciare la mia casa: adesso che l'ho fatto ho  una casa in cui sto bene e un'altra in cui ritorno volentieri.

Oggi è una giornata piena di vento. Col vento dormo meglio, il vento distrugge, spazza via le nuvole e porta Mary Poppins. Il vento mi assomiglia. Mi piace pensare di far tuffare il Pesce Volante nel suo nuovo mare in un pomeriggio come questo.
Grazie a tutti per avermi seguito fino a qui, se volete continuare da ora in poi mi troverete sul mio nuovo sito ilpescevolante.com

Ilaria

giovedì 18 febbraio 2016

Acqua

Dici che ti piace il freddo, ma quando oggi hai visto la primavera hai aperto le finestre e l'hai fatta posare sopra ai mobili. L'ho fatto anch'io. Fuori il fiume è diventato chiaro, lo vado a guardare anche se non ha niente da dirmi, forse sono io che vorrei parlarci, gli chiederei com'è esser acqua e pulire la terra da quello che c'è di storto.
Gli alberi, li senti, dentro i rami ci scorrono le foglie, presto esploderanno e tu ti ritroverai più vecchio a guardare la vita che va a capo e ricomincia.
Lo sai, noi possiamo solo andare avanti e portarci via le pietre. Diventeremo più forti con l'arrivo dei temporali e come il fiume spazzeremo via l'inverno.

venerdì 12 febbraio 2016

Ostaggi

Lei pulisce tutto. Lui non pulisce niente perché sua moglie è meglio di tutte le donne di servizio messe insieme, lui non saprebbe fare di meglio in più è gratis.
Li ospitiamo in una casina in mezzo al bosco, abbiamo lavato le tende e messo le lenzuola ricamate.
Quando arrivano parcheggiano la macchina vicino all'orto, trascinano le valigie nella cameretta dei bambini, uniscono i letti, tolgono le nostre lenzuola nuove perché le loro lo sono di più. 
Ci impiegano tutto il pomeriggio a sistemarsi.
Lei disinfetta il bagno con la candeggina, gratta i lavandini, strofina le piastrelle. Lui appende i vestiti dentro l'armadio, ordinatamente. Poi chiude i balconi e si mette a dormire.

Il giorno dopo in cielo ci sono le nuvole. Loro si svegliano presto, li sentiamo aprire i cassetti della cucina, forse per cercare i cucchiaini. Quando ci alziamo li troviamo già vestiti. Hanno svuotato l'armadietto delle stoviglie e hanno lavato ogni cosa, c'è profumo di limone in tutta la stanza.
Non sappiamo cosa dire, li ringraziamo per nascondere il nostro imbarazzo, ci dispiace non avere offerto loro qualcosa di perfetto. 
Quando lei esce in giardino sbuffa contro il cielo. Che orrore, con la pioggia, dice solo.
Guardo gli alberi luccicanti e l'erba inzuppata. L'odore di muschio si mescola a quello dei pini, sarebbe bello giocare a nascondino, oppure a rincorrerci.
Le chiedo se abbia voglia di fare una passeggiata, lei mi dice che molto probabilmente si infangherebbe le scarpe, così guarda la tv fino a ora di cena, Pomeriggio Cinque con Barbara d'Urso.

La sera ci stringiamo intorno al tavolo, fingendo di essere interessati a vite che non sono le nostre. Beviamo due litri di birra per aiutarci ad avere pazienza, lei ha serrato tutti i balconi perché vedere la notte le fa paura, intorno non ci sono i lampioni e sente troppi rumori di cui non riesce a capire la provenienza. Chiude la porta a chiave appena il sole tramonta. Le chiedo se non possiamo lasciare aperto almeno uno spiraglio, perché ci sono le lucciole vicino all'orto, sarebbe bello lasciarle entrare in salotto insieme al buio.
Mi risponde che neanche per sogno, potrebbero arrivare i lupi e saremmo tutti morti nel giro di cinque minuti.

Passiamo le vacanze sperando che finiscano in fretta e con loro un'amicizia che forse era stata più un malinteso, scusateci per l'equivoco - si sbaglia con gli orari, figurarsi con le persone - niente di personale, eh, però a mai più.

venerdì 29 gennaio 2016

Via XXIX Aprile n°38

Non so se l'ho già scritto, ma i miei primi dieci anni li ho trascorsi al quinto piano di un palazzone vicino alle scuole.
Mi piaceva abitare in un condominio perché c'erano altri bambini  che potevo comandare a bacchetta solamente esercitando i miei diritti di anzianità.
Ci nascondevamo dentro un cespuglio a progettare rivolte contro la signora del primo piano, che ci minacciava col bastone dal terrazzo quando giocavamo col pallone troppo vicini alla sua auto. Ci seguiva una gatta bianca completamente sorda, noi ogni tanto le urlavamo addosso parole a caso, per controllare che davvero non ci sentisse, e davvero non ci sentiva proprio.

I miei vicini di casa preferiti erano una coppia che non aveva avuto figli: lei era una sarta profumata di cipria, lui un uomo magro che da ragazzo aveva fatto i boy scout. Ivano teneva un cesto pieno di settimane enigmistiche, io sprofondavo nella sua poltrona a fiori per leggere le pagine centrali con le barzellette. Con sua moglie guardavamo Ultimo minuto stese sul lettone ed era bellissimo perché ci spaventavamo sul serio, ma poi ridevamo, perché terrorizzarci insieme era come un'avventura.

Riuscivo a essere una bambina felice solo quando mi sentivo protetta.

In estate nel nostro appartamento faceva caldo, così al tramonto spalancavamo tutte le finestre per far circolare il fresco, con la sera entravano anche i pipistrelli, così a mio padre toccava rincorrerli, e imprigionarli dentro una scatola da scarpe.

Al secondo piano abitava un vecchio che ci guardava dall'alto finché correvamo con le bici. Quando si stancava ci tirava un fischio come si fa coi cani, quello era il segnale per riunirci tutti sotto la sua finestra. Lui allora prendeva un barattolo di latta e liberava una cascata di caramelle alla frutta che ci pioveva addosso pizzicandoci la pelle. Chi aveva la Graziella col cestino era il più fortunato.

Fuori dal condominio avevo paura di tutto il mondo.
In via XXIX Aprile c'era la vita giusta, mi pareva e anche adesso, a scriverne, mi sembra così.

domenica 24 gennaio 2016

Ripetizioni

Paolo Nori è uno dei miei autori rifugio. Compro i suoi libri quando ho voglia di non essere delusa. Questa settimana ho letto La piccola Battaglia portatile e A bologna le bici erano come i cani. I titoli li avevo scelti perché erano gli unici dell'autore sullo scaffale della libreria.

Il primo libro racconta di Battaglia, la figlia di Nori, e io non l'avevo mica capito, all'inizio, che il libro parlasse di cose vere. Ogni tanto mi capita, quando leggo e anche quando parlo, di invertire le lettere di una parola o le cifre di un numero. E lunedì, quando mi ero guardata la biografia dello scrittore avevo letto che fosse nato nel 1936. Quindi avevo calcolato che Nori dovesse avere circa ottant'anni e mi ero detta che era proprio realistico il modo che aveva di raccontare una paternità che in realtà doveva essere al massimo una nonnità, visto che la bambina di cui parlava era nata negli anni duemila. Mi ero cercata le sue foto in Google e mi era sembrato un vecchietto arzillo, forse un po' più muscoloso di quanto sospettassi.

Paolo Nori in realtà è nato nel 1963.

Questa cosa l'ho scoperta quando mercoledì ho iniziato a leggere A bologna le bici erano come i cani e l'occhio mi è caduto sull'aletta alla fine del romanzo.
Ecco. Vi racconto di questi due libri perché, per la prima volta, mi è successo di trovare interi paragrafi del primo, riportati pari pari nel secondo.
Questa cosa all'inizio mi infastidiva da morire. Perché scrivi cose che mi hai già detto? Mi pareva di esser stata fregata da uno scrittore che voleva infilare aneddoti della sua vita privata in ogni suo lavoro (anche in La banda del formaggio, già che ci pensavo, c'erano alcune parti che raccontavano  gli stessi dettagli della stessa bambina).
In realtà poi, spegnendo i bollori che mi esplodono dentro quando qualcosa non mi convince, la situazione si è ribaltata. Leggere Nori è diventato come stare con qualcuno che conosci, che ti racconta cose nuove e ogni tanto aggiunge particolari che sai anche tu e che quindi condividi con l'autore. Così ti ritrovi a pensare, ah, già, mi ricordo che me l'aveva detto! Diventa una specie di lettura famigliare accogliente, come lo è mia madre quando mi racconta le avventure che ha vissuto quando io non ero nata.

Per concludere, La piccola Battaglia portatile e A Bologna le bici erano come i cani sono due libri che, in sostanza, vi consiglio. Nori scrive bene, non promette niente che non riesca a dare, in più è allegro e mette il buon umore.
Ecco, magari non fate come me, prendete un libro alla volta, leggetene uno in primavera e l'alto in autunno. Però, mi raccomando, leggeteli.

lunedì 18 gennaio 2016

La descrizione

Io e la ragazzina ci capiamo al volo, dove non arrivano le parole ci sono gli occhi, perché la ragazzina ha l'autismo. Prima di posare la cartella mi fa grandi sorrisi, ogni tanto ride proprio anche se non le ho ancora detto niente, è così che iniziano le sue buone giornate.
Oggi le ho insegnato a descrivere una persona. 
Cerca le parole giuste nella griglia che poi le ordiniamo insieme, le spiego.  
Lei però non sa di chi parlare. Descrivi me, aggiungo allora, così ti sto davanti ed è molto più facile.

"Ilaria è alta e snella. Ha i capelli marrone chiaro e gli occhi azzurri. E' sempre allegra. Mi ispira antipatia."

Ragazzina, le dico, antipatia è quando qualcuno non ti piace. Simpatia è quando invece si va d'accordo, e se ci pensi, noi insieme stiamo bene. Allora, ti ispiro simpatia o antipatia?

Antipatia.

Simpatia?

No, antipatia.

Poi ride forte e rido anch'io anche se non ci capisco più niente.

domenica 10 gennaio 2016

Sorellanza

Dopo le feste il mio carillon dentro il comodino era pieno di dolci. Mi piaceva guardarli tutti insieme. Accumulavo caramelle per mesi. Torroncini, gomme da masticare, zuccherini, li contavo ogni sera prima di dormire. 
Mia sorella invece era una bambina vorace, ingoiava tutto quello che le passava a tiro. Sotto natale apriva la stagnola delle palline di cioccolato appese all'albero, le svuotava, lasciando luccicare a penzoloni solo la carta.

Io e mia sorella ci picchiavamo spesso. Ce le davamo di santa ragione ogni volta che aprivo il mio carillon e lo trovavo vuoto.
Io le prendevo quasi sempre. Così avevo imparato presto l'arte della vendetta.
Prima dei suoi esami di quinta elementare le avevo strappato la tesina di fine anno, appena stesa in bella copia. Mia sorella mi aveva rincorso col coltello da cucina, lanciandomelo dietro in giardino, quand'ero ormai troppo distante per essere uccisa.

Mia sorella amava i trucchi anche da bambina, così mia madre le comprava le trousse Divina a forma di farfalla. Siccome io non avevo soldi per farle i regali, il giorno del suo compleanno prendevo dalla mia mini biblioteca il Libro degli animali dello zoo e glielo infilavo sotto il cuscino. Dopo qualche giorno me lo riprendevo per regalarglielo di nuovo l'anno seguente.

Un'estate che faceva caldo e giocavamo nel campo dietro casa, mia sorella invece di obbedirmi mi aveva piantata in asso lasciandomi sola vicino ai margini del bosco. Così avevo strappato un mazzo di ortiche e senza farmi sentire l'avevo colpita sulle gambe, arrivando da dietro, fino a farle diventare viola.

Io e mia sorella abbiamo smesso di litigare l'anno scorso, quando io sono andata a convivere e ciascuna non invade più gli spazi dell'altra. 
A me e mia sorella piacciono le storie, io le racconto, lei le disegna. Per questo 2016 abbiamo deciso di andare d'accordo, lavoriamo insieme, le ho detto. Non sono sicura che ne usciremo vive, ma che creeremo qualcosa di buono, questo sì.